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“Armare i cervelli e temprare gli spiriti”: alla scoperta di Mario Gioda

by Lorenzo Cafarchio
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mario gioda

Roma, 28 mar – “Noi dovremo fare della propaganda. Soprattutto la dovremo fare cogli avversari, con coloro, specialmente, che sono tali perché non ci conoscono. Agli altri, a quelli che non ci sono avversari, ma nemici, nemici per partito preso, è inutile parlare oggi e sarà inutile parlare in un prossimo domani. Con quella gente, per noi è difficile la lotta perché noi non abbiamo le loro armi che sono perfidia ed impostura”. Parole attuali anche oggi, parole che Mario Gioda consegna in una lettera al suo vice (Guido Narbona) per l’inizio della campagna elettorale 1924.

Ma chi era Mario Gioda? Lo scopriamo in un accurato lavoro di Luca Bonanno, “Mario Gioda. Armare i cervelli e temprare gli spiriti”. Appena uscito per Eclettica Edizioni (652pp, 22€), racconta tutta la vita, i passaggi politici e il travaglio interiore di quello che sarà il fondatore del Fascio di Torino.

Mario Gioda dagli attacchi agli speculatori all’interventismo                          

I suoi primi attacchi politici, fin dal 1901, contro il mondo politico fatto di speculatori. Contro Giolitti “che traffica eletti ed elettori con l’occhio pacato del gesuita e il tatto squisito del Mercadet parlamentare”, lo strano connubio con il partito socialista che tradendo le sue origini “rinverdì di nuove menzogne l’albero statale a cui – avide e pavide – oggi le moltitudine affissano gli occhi illanguiditi delle loro speranze”. L’avvicinarsi all’anarco interventismo e i suoi articoli anti triplice intesa e anti austriaci. Abbracciando la soluzione dell’uso delle armi nel caso: “L’Austria imprevedutamente, un giorno anche osasse turbare altrimenti e sciaguratamente le nostre case”. Il passaggio all’interventismo è sancito con il passaggio nella fila del Popolo d’Italia con un articolo che deride “il sogno, l’utopia, l’ideale, i principi, la logica assassina che incarcera i partiti socialista ed anarchico”.

Da lì alla guerra il passo è breve. Dopo essere stato riformato, riesce nel 1918 a partire per il fronte. Momento che “egli attendeva da un pezzo con l’ansia sincera degli interventisti sinceri”. Nel libro sono presenti degli stralci del diario scritto durante il periodo sotto le armi. Si scopre un Gioda sarcastico che si rammarica di aver dovuto buttare un “eccellente risotto del pranzo” poiché “saponificato” (avendo lavato per sgrassarla, con il sapone, la gavetta). Un Gioda con il perenne pensiero verso l’adorata moglie. E al giornale: trova infatti il tempo di riprendere una vecchia polemica contro la Fiat “lucratori di sopraprofitti di guerra”.

La fondazione del Fascio di Torino

Come logica conseguenza, alla fine della guerra, è la sua presenza in piazza San Sepolcro alla fondazione dei Fasci di Combattimento. E, pochi giorni dopo, la fondazione del Fascio di Torino. Gli scontri con il monarchico De Vecchi, Gioda conta sull’appoggio degli operai sindacalisti sostenendo un forte legame con la classe operaia “abbandonata ai pastori di un socialismo schedaiuolo conservatore”, mentre De Vecchi rappresenta la borghesia e gli accordi con le famiglie industriali. Scontri interni al Fascio di Torino che si acuiscono nel dicembre 1922, quando le squadre fasciste capitanate da Brandimarte, per vendicare la morte di due fascisti, inscenano una caccia all’uomo che porta alla morte di 14 persone (tra cui il consigliere comunale Berrutti amico d’infanzia di Gioda), l’incendio della Camera del Lavoro e la distruzione del quotidiano Ordine nuovo.

Mario Gioda che partecipa controvoglia, solo su espressa richiesta di Mussolini, alle elezioni del 1924 dove viene eletto deputato. Una gioia mai assaporata, infatti dopo pochi mesi, nel settembre, le già gravi condizioni di salute peggiorano e la leucemia lo porta via. “Uomo del popolo, onesto e sincero difensore della causa dei deboli e degli indifesi, degno esponente della migliore generazione che formatasi nell’anteguerra, maturò al fuoco della trincea”.

Lorenzo Cafarchio

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