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Cartastràccia, Giacomo Venezian: il giurista che morì in trincea nel nome di Dante

by Lorenzo Cafarchio
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Giacomo Venezian, giurista

Cartastràccia, il libraio di Altaforte racconta Giacomo Venezian

Milano, 2 dic – Il ritmo delle giornate scandito dai libri. Le pagine si accatastano sulla scrivania, ci osservano dal comodino, urlano in rigoroso silenzio dagli scaffali delle librerie. Nel freddo padano, di questi ultimi giorni, i viaggi in treno li ho divisi insieme ad un solenne scritto di Rodolfo Sideri dal titolo Fascisti prima di Mussolini – Il Fascismo tra storia e rivoluzione (Edizioni Settimo Sigillo). In copertina “Le nuove speranze dell’Italia salutano il veterano delle Guerre d’Indipendenza”, quadro firmato da Remigio Schmitzer con un titolo degno della miglior Lina Wertmüller. A pagina 237, dopo che il lettore ha avuto l’occasione di abbeverarsi tra decine di nomi che fanno rima con Patria, si inciampa tra le scartoffie del giurista Giacomo Venezian.

Giacomo Venezian, un giurista da battaglia

Personalità dismessa dal nostro passato, ma che racchiude tra pensiero e azione un lampo, accecante, d’italianità. Nel suo sangue Trieste. Nacque, infatti, nella culla della Mitteleuropa il 7 dicembre 1861. Dopo una vita divisa tra irredentismo, Università e amore cieco per l’Italia incontrò la morte, sotto forma di pallottola austriaca, il 20 novembre 1915 all’indomani della sua partenza, a 54 anni, come volontario durante la Prima Guerra Mondiale. Un’esistenza divisa tra la scienza del diritto e il tricolore, così potrebbe essere riassunta l’animosità di Venezian.

La Treccani indica che la sua anima “si nutrì dello spirito cosmopolita triestino e di un forte sentimento irredentista e nazionale”. Già in giovane età avviò un contatto epistolare con Giuseppe Garibaldi. Un legame profondo quello con il Generale eroe dei due mondi, lo zio Giacomo senior Venezian, ebreo così come il nipote che si convertì poi al cristianesimo, fu l’unico triestino a combattere al fianco di Garibaldi durante l’esperienza della Repubblica Romana del 1849. Cadendo tra le braccia della nera mietitrice all’età di 23 anni. Assieme a Guglielmo Oberdan e Salvatore Barzilai animò un periodico irredentista. Per questo motivo, nell’autunno del 1878, venne arrestato con la motivazione di “alto tradimento e propaganda sovversiva” restando in carcere per nove mesi. Il processo, svoltosi a Graz, proclamò la sua assoluzione. Nel 1881 ottenne la cittadinanza italiana e dopo la laurea conseguita il 20 novembre 1882, nello stesso giorno della morte il sorriso beffardo dell’esistenza, iniziò a veleggiare tra le cattedre dello stivale. Prima alla Libera Università di Camerino, poi a Macerata e infine alla Regia Università di Messina dove divenne docente di ruolo. Una lenta, ma inesorabile carriera frutto delle sue virtù “perché lavorò, sempre, per la scienza, e non per la cattedra”, così come lo dipinse Francesco Ercole.

Nel nome di Dante

L’azione di Venezian a Bologna nel 1888 portò, dopo una lettera redatta ed indirizzata a Giosue Carducci, alla creazione della Società Dante Alighieri per la difesa dell’italianità all’estero. Indicò la via, ma seppe mantenersi defilato rispetto ad un ruolo attivo nella fondazione per via della sua matrice spiccatamente irredentista. Un soldato vestito dell’uniforme dell’amor patrio. Mentre la sua carriera accademica progrediva alla fine dell’Ottocento sbarcò proprio nella città felsinea. Qui strinse una profonda amicizia con Giovanni Pascoli. E mentre il poeta di San Mauro a Lucca pronunciava il discorso “La grande proletaria si è mossa”, Venezian infiammò i giovani bolognesi con una serrata “propaganda nazionalistica per la guerra di Tripoli”, scrivendo, anche, due saggi sulla vicenda: Proprietà fondiaria in Libia e Il tapu nel diritto ottomano.

Dai manuali alla trincea

Il sangue, quello caldo, quello mediterraneo, non conosce età e quando la Prima Guerra Mondiale chiamò tra il proprio seno l’Italia Giacomo Venezian posò i manuali e imbracciò il fucile. Prima scrisse un articolo, Alla svolta della storia, il 6 febbraio 1915 col quale smosse l’ardore dei giovani petroniani e poi insistette per essere accolto, nonostante i 54 anni, come volontario di guerra. Venne, prima, impiegato come giudice per dirimere casi di disobbedienze o di indisciplina militare. Ma i patrioti non sono uomini da scrivania, invocano la trincerocrazia. La sua fermezza lo portò ad essere utilizzato come ufficiale in trincea. Raggiunse il grado di maggiore ed il 20 novembre 1915, dopo essere stato ferito alcuni giorni prima, cadde a Castelnuovo del Carso. Per interessamento, in prima persona, del Duca d’Aosta gli fu conferita la medaglia d’oro al valor militare.

Tra le righe di questo uomo, di questa vicenda intrisa di verde, bianco e rosso, riposa eternamente un milite, noto questa volta, che ha bagnato la sua vita tra pensiero e azione. Non un’onanistica riflessione sulle proprie capacità intellettuali che diventano prigione d’avorio, ma un’indefessa volontà. Volontà che nell’epoca del divorzio dall’eroismo a tutti i costi ci conduce, a prima vista, ad un solenne matrimonio con l’atto che diventa Patria.

Lorenzo Cafarchio

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1 commento

Maria Cipriano 2 Dicembre 2021 - 11:03

Per la cronaca: i triestini che combatterono a fianco di Garibaldi nella Repubblica Romana furono diversi.

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