Roma, 18 mag – Posizionata sul lato nord della cosiddetta Linea Gustav – fortificazione che dalla foce del Garigliano raggiungeva Ortona – nella prima metà del 1944 la città di Cassino fu sconvolta da pesantissimi bombardamenti anglo-americani e dal dramma delle marocchinate.
L’inferno arriva dal cielo
Uomini dell’Asse da una parte, soverchianti forze alleate sul fronte opposto. La zona è strategica: dalla valle del Liri, la Via Casilina si distende fino a Roma – obiettivo militare, ma soprattutto simbolico. Passata alla storia come “battaglia di Montecassino”, i combattimenti nei pressi del centro laziale durarono quattro mesi (da metà gennaio fino a maggio). I tedeschi infatti predisposero una complessa stratificazione difensiva per rallentare l’avanzamento del nemico. In questo contesto, particolarmente importante è la posizione della locale abbazia. Non riuscendo a sfondare via terra, i comandanti inglesi convinsero gli statunitensi a procedere con il bombardamento del secondo monastero più antico d’Italia. Il 15 febbraio oltre duecento aerei e quasi quattrocento tonnellate di bombe distrussero completamente l’inestimabile bene culturale. Provocando oltretutto la morte di tanti civili rifugiati dentro le mura – dichiarate nel dicembre precedente come “zona neutrale”.
Nonostante tutto le truppe germaniche riuscirono a rassettare le proprie postazioni difensive. Ma esattamente un mese più tardi l’inferno tornò a colpire dal cielo, questa volta sul centro abitato – un paio di chilometri quadrati. Diverse centinaia di mezzi, qualcosa come mille tonnellate di esplosivo. Una “terribile unilateralità dello spettacolo” secondo il generale britannico Freyberg. La città fu rasa al suolo.
La presa di Cassino e il dramma delle marocchinate
Come ben sappiamo, la campagna militare volse a favore degli Alleati. Ma dopo la presa di Cassino (18 maggio 1944), e in seguito alle incalcolabili morti civili portate dall’artiglieria aerea anglo-americana, alla Ciociaria spettò una violenza per certi versi ancora peggiore: il dramma delle marocchinate.
Forse consapevoli di quanto già avvenuto in Sicilia, i tedeschi in ritirata consigliarono alla popolazione di “nascondere le donne”. Tra gli schieramenti che dall’estate del 1943 invasero il nostro paese – giusto per citare la politicamente correttissima Wikipedia – troviamo infatti anche le truppe coloniali francesi, composte principalmente da magrebini. Dalle bombe agli stupri: l’arrivo del CEF (Corps expéditionnaire français en Italie) coincide con un’ondata di violenze carnali senza precedenti. Tra le odierne province di Frosinone e Latina la bestialità dei militari nordafricani travolse almeno una trentina di paesi.
Ventimila casi accertati, secondo stime attendibili sarebbero almeno il triplo. Donne soprattutto, ma anche bambini e anziani. Gli uomini italiani che provarono a difendere famigliari e conoscenti furono passati per le armi. Le barbarie dei “liberatori” portarono con sé malattie sessuali e aborti. Nonché centinaia di abbandoni negli orfanotrofi. Gli storici inoltre non escludono che ci possano essere stati casi di suicidio ed infanticidio. Senza contare i danni materiali: furti, incendi, saccheggi, distruzioni.
Tutti sapevano, a partire dai generali francesi. Nessuno, a livello istituzionale, mosse un dito. Se non tiepidamente. Alla caduta di Cassino e al contestuale sfondamento della Linea Gustav seguì il dramma delle marocchinate. E come per le foibe, a guerra finita la “repubblica nata dalla resistenza” preferì insabbiare anche questa mostruosa pagina di storia (anti)italiana.
Marco Battistini