Roma, 22 ott – Oggi è sempre più difficile ascoltare musica prodotta interamente da strumenti che potremmo convenzionalmente chiamare “classici”. Basta farsi un giro tra le stazioni radio o fare zapping in televisione per ascoltare miriadi di canzoni e jingle pubblicitari composti e suonati artificialmente, anche qualora sembrino effettivamente suonati da strumenti musicali a tutti gli effetti.
Ma quando è nato tutto questo? Esttamente cento anni fa, grazie ai futuristi.
La nascita di musica non “convenzionale”, infatti, è di certo antecedente alla moog mania degli anni 70, quando la nascita di synth compatti dal costo abbordabile aveva fatto sì che spuntassero fuori centinaia di composizioni musicali di natura esclusivamente elettronica. Oggi magari non può stupire pensare che nel 1968 con l’album “Switched-on Bach” Wendy Carlos riprodusse con il solo sistema modulare moog alcune delle più importanti composizioni classiche di John Sebastian Bach. Questo perché oggi ci siamo abituati a sentire produzioni ben più piene e pompate di qualche onda quadra o sinusoidale solo leggermente modulata. Eppure all’epoca tutto questo fu estremamente innovativo. Tutto questo aveva però radici più antiche. Ancora prima che nascesse il Theremin nel 1919 e dopo il Thelarmonium nel 1897, Luigi Russolo ideò il Rumorismo, musica futurista suonata dallo strumento di sua invenzione, l’intonarumori. Correva l’anno 1913 ed ebbene sì, sono passati cento anni tondi tondi.
Intonarumori: erano 30 (riuniti in un rumorarmonio), sufficienti a governare le 6 «famiglie di rumori» dell’orchestra futurista (1: rombi, tuoni ecc.; 2: fischi, sibili ecc.; 3: bisbigli, mormorii ecc.; 4: stridori, scricchiolii ecc.; 5: percosse su metalli, legni, pelli ecc.; 6: voci di bestie e di uomini).
Volendo essere precisi, un intonarumori non è uno strumento elettronico per per definizione dal momento che i suoi principi di funzionamento sono di natura meccanica ed acustica. Tuttavia l’ispirazione è la stessa di qualsiasi sintetizzatore, forse anche più del Theremin che in realtà era uno strumento elettronico sì, ma atto alla produzione di un proprio suono caratteristico (e non all’imitazione di altri) modificabile in ampiezza e frequenza tramite principi elettromagnetici. Ogni intonarumori era invece formato da delle scatole di legno con un altoparlante nella parte anteriore e lastre di metallo e corde all’interno; il “rumorista” tramite l’utilizzo di leve e bottoni come “controller” modificava l’ampiezza, il volume e la lunghezza d’onda dei suoni prodotti. Niente onde elettroniche, già. Niente sequenze digitali di zeri ed uno, vero. Nessun oscillatore e nessun generatore di onda comunemente inteso.
Ma tentando di imitare artificialmente dei suoni naturali, Luigi Russolo nel 1913 ideò in parole povere la Noise Music anticipando tantissimi artisti di musica elettronica che oggi tutti questi suoni li hanno campionati nel proprio computer e non riescono a stupirsi del genio innovatore che stava dietro queste rudimentali “scatole di legno”; siamo anche sicuri che Luigi Russolo sarebbe stato assolutamente entusiasta all’idea di poter produrre musica senza l’utilizzo di mezzi acustici bensì digitali. Basta leggere d’altronde il manifesto “L’arte del rumore”, firmato da Russolo stesso:
Ci avviciniamo così sempre più al suono-rumore.
Questa evoluzione delta musica è parallela al moltiplicarsi delle macchine, che collaborano dovunque coll’uomo. Non soltanto nelle atmosfere fragorose delle grandi città, ma anche nelle campagne, che furono fino a ieri normalmente silenziose, la macchina ha oggi creato tanta varietà e concorrenza di rumori, che il suono puro, nella sua esiguità e monotonia, non suscita più emozione. Per eccitare ed esaltare la nostra sensibilità, la musica andò sviluppandosi verso la più complessa polifonia e verso la maggior varietà di timbri o coloriti strumentali, ricercando le più complicate successioni di accordi dissonanti e preparando vagamente la creazione del rumore musicale. Questa evoluzione verso il “suono rumore” non era possibile prima d’ora. L’orecchio di un uomo del settecento non avrebbe potuto sopportare l’intensità disarmonica di certi accordi prodotti dalle nostre orecchie(triplicate nel numero degli esecutori rispetto a quelle di allora). Il nostro orecchio invece se ne compiace, poiché fu già educato dalla vita moderna, così prodiga di rumori svariati. Il nostro orecchio però se ne accontenta, e reclama più ampie emozioni acustiche. D’altra parte, il suono musicale è troppo limitato nella varietà qualitativa dei timbri. Le più complicate orchestre si riducono a quattro o cinque classi di strumenti ad arco, a pizzico, a fiato in metallo, a fiato in legno, a percussione. Cosicché la musica moderna si dibatte in questo piccolo cerchio, sforzandosi vanamente di creare nuove varietà di timbri. Bisogna rompere questo cerchio ristretto di suoni puri e conquistare la varietà infinita dei “suoni-rumori”.
La necessità di rompere con il passato, di trovare nuove vie per trovare modo di stupire con la musica in un mondo sempre più pieno di suoni e di rumori e di scoprire metodi non convenzionali per assaltare il mondo così accademico e bigotto dei conservatori, con compositori sempre più impegnati a creare qualcosa di innovativo con mezzi che ormai in centinaia di anni di storia della musica avevano già detto tutto. La volontà del futurismo stesso di distruggere i musei, le biblioteche e le accademie di ogni specie, di esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno si impone anche nell’ambito musicale come un vero e proprio imperativo espresso nel primo punto dell’arte del rumore
1. – I musicisti futuristi devono allargare ed arricchire sempre di più il campo dei suoni.
Ciò risponde a un bisogno della nostra sensibilità. Notiamo infatti nei compositori geniali d’oggi una tendenza verso le più complicate dissonanze. Essi, allontanandosi sempre più dal suono puro, giungono quasi al suono-rumore. Questo bisogno e questa tendenza non potranno essere soddisfatti che coll’aggiunta e la sostituzione dei rumori ai suoni.
E anche nel quinto punto del manifesto della musica futurista, firmato stavolta da Francesco Balilla Patrella
5. Liberare la propria sensibilità musicale da ogni imitazione o influenza del passato, sentire e cantare con l’anima rivolta all’avvenire, attingendo ispirazione ed estetica dalla natura, attraverso tutti i suoi fenomeni presenti umani ed extraumani; esaltare l’uomo-simbolo rinnovantesi perennemente nei vari aspetti della vita moderna e nelle infinite sue relazioni intime con la natura.
Insomma, il fatto che l’intonarumori fosse uno strumento di base acustico è di poca importanza di fronte alle intenzioni di una generazione di artisti e compositori che voleva andare ben oltre le possibilità che gli erano state offerte da un mondo artistico ancorato a vecchi schemi accademici ed estremamente chiuso in se stesso. Così come altri loro “colleghi”, i musicisti futuristi volevano assaltare il futuro e non subirlo; in questo caso equivaleva a dire una ricerca ed uno studio di nuovi suoni, di nuove possibilità, di nuove dissonanze al quale il mondo si sarebbe dovuto abituare, di nuovi orizzonti che forse all’epoca erano ancora troppo lontani. Dopotutto non avevano così torto dal momento che la moogmania accennata ad inizio articolo nacque circa cinquanta anni dopo. Forse non avevano così torto dal momento che oggi ascoltiamo brani che probabilmente anche solo fino a 20 anni fa sarebbero stati considerati un abominio, puro rumore fine a se stesso. L’orecchio delle persone cambia così come le loro abitudini e si adegua ad un mondo sempre più veloce, tecnologico, caotico. Probabilmente sì, cento anni fa nessuno sarebbe stato pronto per una cosa simile ed’è così che Russolo con il suo intonarumori è finito nel dimenticatoio, conosciuto ormai solo dagli addetti ai lavori, nonostante rappresentasse un genio anticipatore del tutto italiano; genio che a volte andiamo sempre a cercare fuori dai nostri confini quando lo abbiamo a casa senza saperlo. Questo è il più grande difetto culturale del bel paese: soffrire immotivatamente di una sorta di senso di inferiorità, essere un popolo di poeti artisti ed eroi ma invidiare quelli altrui per poi mettere sul trono della nostra produzione musicale nazionale solo delle canzonette di poco conto.
Per questo oggi, a cento anni dalla nascita dell’intonarumori, guardiamo con orgoglio quella generazione di artisti così avanguardista e ne facciamo tesoro perché sappiamo che come italiani abbiamo davvero tante possibilità e nel tempo lo abbiamo dimostrato; dobbiamo solo alzarci in piedi e renderci conto che c’è un’intera rivoluzione da fare.
Alessandro Bizzarri