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“Chi tradisce perisce”: 130 anni fa nasceva Arnaldo Mussolini

by Adriano Scianca
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Busto_Arnaldo_MussoliniRoma, 11 gen – Dopo aver chiamato il suo primogenito con il nome del riformatore messicano Benito Juarez, aggiungendo anche i nomi dei rivoluzionari italiani Andrea Costa e Amilcare Cipriani, l’agitatore socialista Sandro Mussolini decise di trovare un’ispirazione altisonante anche per il nuovo arrivato, nato due anni dopo. Stavolta si ispirò ad Arnaldo da Brescia, il religioso medievale arso vivo per aver contestato la ricchezza del clero. Arnaldo Mussolini, tuttavia, dell’eretico avrà poco, essendo anzi un uomo mite e un devoto cattolico, artefice fra l’altro dell’avvicinamento fra Vaticano e Stato italiano. La predicazione per uno stile di vita esemplare, sobrio, retto la riservò invece al fascismo.

Il fratello del Duce nacque a Dovia di Predappio esattamente 130 anni fa, ovvero l’11 gennaio 1885. Aveva due fratelli: Benito, nato nel 1883, ed Edvige nel 1888. Dopo le elementari a Meldola frequentò la scuola media agraria. Nel 1904 la mancanza di lavoro lo fece emigrare in Svizzera con il fratello, dove si guadagnò da vivere come manovale e giardiniere. Se Benito era già allora un instancabile attivista socialista, Arnaldo fece invece parte del Partito repubblicano, dal quale si distaccò nel 1919 per iscriversi ai Fasci italiani di combattimento.

Rientrato in patria nel 1905, lavorò nel campo agrario. A 22 anni si fidanzò con Augusta Bondanini. I due si sposarono il 14 aprile 1909 e nel

Arnaldo si reca alla fondazione della Scuola di mistica fascista

Arnaldo si reca alla fondazione della Scuola di mistica fascista

luglio 1910 nacque il primo figlio, Alessandro Italico. In quegli anni Arnaldo intraprese anche gli studi magistrali, conseguendo nel 1911 il diploma che gli permise di insegnare nelle scuole elementari, come già facevano la madre e il fratello. Nel 1912 nacque il secondo figlio, Vito. Nel 1917 la moglie diede alla luce la loro terzogenita, Rosina, a Morsano.

Nel febbraio 1918 fu mandato alla scuola allievi a Caserta. A maggio, alla scuola di fanteria a Parma. Giunse al fronte nel giugno 1918 e partecipò alla seconda battaglia sul Piave nel comando di reggimento del battaglione complementare della brigata Potenza. Alla fine della guerra si trasferì definitivamente a Milano con la famiglia.

Da questo punto in poi, la sua vita si intreccia in modo sempre più stretto con quella di Benito. Sulla diversità di carattere dei due si è scritto molto: tanto esuberante, aggressivo, radicale era il fratello maggiore quanto mite, dimesso, riflessivo era il più piccolo. A molti è bastato questo per fare di uno l’estremista e dell’altro il moderato. Come vedremo, le cose non sono riassumibili in questa griglia semplicistica. Di sicuro Arnaldo riusciva a compensare i punti deboli de fratello: era un organizzatore, un amministratore, un diplomatico, tutte cose che Benito non sapeva e non voleva essere. Ma anche Arnaldo, a suo modo, sapeva essere “totalitario”.

popolodit 01Fu il Popolo d’Italia a far collaborare da vicino i due Mussolini. Nel quotidiano, Arnaldo si occupò dapprima dei conti, scontando all’inizio anche l’ostilità della redazione. Dopo la marcia su Roma, tuttavia, Benito decise di affidargli la direzione del giornale, malgrado l’inesperienza. Il mestiere lo imparò strada facendo e pian piano emerse anche politicamente, ergendosi a difensore e puntellatore della politica del regime. Nelle lettere al fratello ricordava spesso “uno dei migliori cardini della rivoluzione” ovvero il motto “chi tradisce perisce”.

Del suo ruolo al quotidiano fondato dal fratello, Indro Montanelli ha scritto: “Sotto qualsiasi altro totalitarismo il giornale del regime avrebbe schiacciato il concorrente diretto. Se il Popolo non lo fece, ai danni del Corriere, fu in gran parte merito di Arnaldo e della sua influenza sul fratello”. I principi a cui la stampa fascista doveva ispirarsi, secondo il fratello del Duce, erano i seguenti: “Esclusione di aggettivi altisonanti, stile severo, aderenza alla realtà, conclusioni in armonia con le premesse, la vita pratica interpretata fedelmente giusta la teoria e il metodo fascista. Si possono concedere le attenuanti per gli aggettivi solamente parlando della fede fascista che ha avuto i suoi martiri e del mito che tutti sovrasta”.

Arnaldo ebbe un ruolo fondamentale nella riorganizzazione del sistema della stampa nel regime. Dopo la crisi Matteotti e le Leggi fascistissime, infatti, divenne presidente della Commissione superiore per la stampa e assunse anche la direzione dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti (Inpgi). Nel marzo 1925 acquisì la direzione del consiglio di amministrazione de Il Resto del carlino. Dal 1929 divenne vicepresidente dell’Ente italiano per le audizioni radiofoniche (Eiar).

Questa sua rete di potere, unita alla parentela col Duce, fece sorgere diverse dicerie. Arnaldo stesso aveva affrontato i pettegoli: “Sfido qualsiasi vicino o lontano, illustre od oscuro, amico od avversario, in buona o in mala fede, a dimostrare che durante venti mesi di governo fascista e di fatica improba per me, io mi sia giovato per raccomandare una legge o un decreto, un favoritismo, un’attenzione, un riguardo, dal quale mi siano venuti direttamente o indirettamente benefici di qualsiasi genere”.

Convegno per il decennale della Scuola di mistica all'ombra dell'effige di Arnaldo

Convegno per il decennale della Scuola di mistica all’ombra dell’effige di Arnaldo

La sua preoccupazione principale, anzi, sembra essere stata quella di rendere lo stile di vita fascista sobrio, frugale, severo. A partire ovviamente dall’alto. Nel settembre del 1928 scriveva al fratello: “Queste spese iperboliche di automobili, di trasporti, di segreteria, di stampati, devono essere ridotte. In un periodo difficile come il nostro, bisogna dare la sensazione del raccoglimento. Non vi è cosa che offenda il popolo italiano come l’ostentazione della ricchezza”. Non di rado segnalava a Benito il comportamento scorretto di qualche gerarca, beccandosi anche qualche risposta brusca dal fratello, che era decisamente più pragmatico.

Sul Popolo d’Italia intervenne più volte a favore della conciliazione tra Stato e Chiesa e, anche per questo, divenne uno degli interlocutori del gesuita Pietro Tacchi Venturi. Nel 1928 fu diagnosticata una grave malattia a Sandro Italico, che morì nell’agosto 1930, a soli vent’anni.

Arnaldo fu anche il padre spirituale della Scuola di mistica fascista, nata per la volontà di Niccolò Giani il 10 aprile 1930. Fu Giani a proporre che fosse intitolata a Sandro Italico Mussolini, scomparso da poco. L’altro figlio di Arnaldo, Vito, fu nominato presidente. Il fratello del Duce era l’ispiratore diretto del gruppo fondatore della Scuola. Il discorso Coscienza e dovere, pronunciato per l’inaugurazione dell’attività del terzo anno della Scuola, davanti a duemila universitari fascisti, fu considerato il testamento spirituale di Arnaldo. Il fratello del Duce sarebbe infatti morto di lì a un mese.

Il famoso decalogo della Scuola fu redatto da Giani ispirandosi proprio ai testi dell’amico. “Mistica è un richiamo a una tradizione ideale che rivive trasformata e ricreata nel vostro programma di giovani fascisti rinnovatori. […] Il problema dei giovani per noi è un problema di formazione salda del carattere e per voi giovani si accoglie nell’unità indissolubile di questo binomio: coscienza e dovere. […] Il domani deve essere migliore dell’oggi. Voi, in una parola, dovete essere migliori di noi. Non mi spiace quando vedo in voi dei giudici severi intransigenti di cose e persone. […] Le questioni di stile anche nei minimi particolari devono avere per voi un’importanza singolare, essenziale. Ogni giovane fascista deve sentire la fierezza della sua gioventù unita al senso dei propri limiti […] Le miserie non sono degne del ventesimo secolo. Non sono degne del Fascismo. Non sono degne di voi”.

Secondo lo storico Daniele Marchesini, Arnaldo divenne nell’immaginario dei mistici, dopo la sua morte, una sorta di “nume tutelare, di giudice supremo e inflessibile al quale ciascuno avrebbe dovuto rendere conto del proprio operato”.

Dagli studi agrari, Arnaldo aveva inoltre tratto una sensibilità che oggi definiremmo ecologica. Si era dedicato alla rinascita boschiva, all’organizzazione dell’agricoltura, alle bonifiche, al culto degli alberi. Sua fu l’invenzione della “Festa dell’albero” e ancora oggi in giro per Arnaldo_Mussolinil’Italia si incontra qualche “Giardino Arnaldo Mussolini”. Nominato presidente del Comitato Nazionale Forestale, nel giornale Il Bosco scriveva che “in Italia si deve generalizzare un nuovo convincimento, che io vorrei definire il culto dell’albero”, ponendo il “problema di educazione civile e di rispetto verso gli alberi”. L’8 settembre 1928, parlando ad Asiago in occasione della giornata forestale, Arnaldo affermava: “Camerati del piano e del monte! È l’ora della terra. È l’ora nostra”. “Ruralizzare l’Italia – diceva – non vuol dire riportare gli uomini della terra alla pastorizia. No! Significa bensì portare i due terzi del popolo italiano ad essere una linfa vitale e rigogliosa del tronco millenario della Stirpe. Significa portare il lavoro silenzioso e sconosciuto della terra all’altezza del concetto sovrano della vita moderna nazionale”. Il 27 novembre 1928 gli fu conferita la laurea honoris causa in Scienze agrarie.

Con la perdita del figlio sembrò svanire anche la sua voglia di vivere. Morì poco dopo, il 21 dicembre 1931, in seguito a un infarto. La camera ardente fu allestita nel suo studio al Popolo d’Italia. Benito Mussolini mandò un telegramma a tutte le scuole d’Italia, ordinando di piantare una quercia in memoria del defunto.

“Ogni fascista – aveva detto – deve combattere strenuamente tutte le insidie. Deve cominciare da se stesso; con l’esempio, con l’esame di coscienza, con uno sforzo continuo di perfezionamento”.

Adriano Scianca

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1 commento

Augusto 26 Maggio 2017 - 1:27

per dare la notizia della sua morte un giornale francese uscì con il titolo “la morte si è sbagliata”: questo, oltre a rimarcare l’astio della francia che ospitava tutti i fuoriusciti antifascisti e l’odio verso benito, sottolineava anche la stima che i nostri cuginastri nutrivano nei confronti del fratello del duce… ma non riesco a ricordare quale fu il giornale che pubblicò questo titolo a nove colonne: forse le figaro?

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