Roma, 10 ago – Chiunque passi al Gianicolo a Roma, verso l’uscita di San Pancrazio, non potrà fare a meno di notare la statua dedicata a “Ciceruacchio”. Vero nome Angelo Brunetti, patriota italiano che combatté nella Repubblica Romana del 1849 e che proprio il 10 agosto di quell’anno fu ucciso dagli austriaci.
Ciceruacchio: vita di un patriota
Nato nel 1800 a Roma nella zona di Campo Marzio, era conosciuto da tutti per la sua grande intelligenza e capacità dialettica nonostante parlasse solo il romanesco, e proprio per questo nelle sue numerose iniziative chiese insistentemente una riforma che prevedesse l’istruzione per il popolo.
Prima carrettiere e poi oste, fu l’infiammatore delle piazze romane con la sua particolare eleganza e i suoi riccioli ribelli. Nel 1828 aderì alla Carboneria, mentre nel 1833 entrò a far parte della Giovine Italia. Da sempre in prima fila per portare la voce del popolo di Roma davanti alle istituzioni, il suo nome comparì già dal 1837 nei registri della polizia pontificia per aver partecipato a un tentativo di sommossa di carbonari guidati da Benedetto Polvano.
Nel 1846 accolse con favore la nomina del Papa Pio IX per poi diventare un fervente anticlericale dopo il tradimento del Papa nel 1848. Difatti, nel novembre del ’48, migliaia di romani guidati da Ciceruacchio manifestarono sotto il Quirinale chiedendo “un ministro democratico, la costituente italiana e la guerra all’Austria”. Il Papa inizialmente aveva accettato la richiesta di inviare truppe al fronte, ma in seguito diede ordine di fermarsi a Bologna. Dopo il voltafaccia avvenne l’uccisione del presidente del governo pontifico da parte del figlio maggiore di Brunetti, che costrinse il Papa a ritirare tutte le concessioni e le riforme precedentemente attuate. Ciceruacchio allora si mise a capo dei moti che sconvolsero Roma e costrinse Pio IX a fuggire a Gaeta.
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Di lì a poco sarebbe nata la Repubblica Romana con il triumvirato Mazzini-Saffi-Armellini, che affidarono a Ciceruacchio il compito di comandare i comitati di difesa della Repubblica dagli attacchi esterni. Fu l’animatore di innumerevoli attacchi a preti e chiese, e fu proprio lui a requisire i confessionali delle chiese di Roma per innalzare le barricate, così da difendere la futura capitale italiana quartiere per quartiere dall’attacco delle truppe francesi.
Fu il vero capopolo di Roma. Amato dai suoi concittadini e rispettato dalle figure di spicco del Risorgimento italiano. Tant’è che Garibaldi si adoperò, anni dopo la sua morte, affinché fossero individuate le sue ossa e trasportate a Roma. Morte che avvenne in Veneto. Fuggito da Roma, ormai arresasi ai francesi, insieme ai figli e altri fedelissimi di Garibaldi, puntò verso Venezia, la quale ancora non si era arresa agli austriaci. Arrestato nei pressi del delta del Po, fu ucciso dagli stessi austriaci nei pressi di Porto Tolle. Lontano dalla sua Roma dove oggi, a più di 170 anni dalla sua morte, viene ricordato con una statua in uno dei luoghi simbolo della eroica Repubblica Romana e con un busto sotto la sua casa a Via di Ripetta.
Nazario Sauro, martire d’Italia
Il 10 agosto del 1916, invece, a Pola in Istria veniva ucciso Nazario Sauro, altro patriota italiano che, come Ciceruacchio, donò la sua vita alla causa italiana. Nato nel 1880 a Capodistria, Sauro è ad oggi un personaggio poco conosciuto, ma che fu senz’altro un esempio di eroismo e di patriottismo italiano. Nacque e crebbe con l’Istria sotto il controllo austriaco, ma si sentiva da sempre italiano e fu per questo che allo scoppio della Prima guerra mondiale raggiunse rocambolescamente Venezia per indossare la divisa italiana anziché quella austriaca.
Considerato dagli asburgici come un individuo pericoloso, Sauro era difatti un grande conoscitore delle coste istriane e dalmate, terre per cui era pronto a morire e dove guidò alcune spedizioni di guerra. Fu lui infatti a mettere in atto la “beffa di Parenzo” con il cacciatorpediniere Zeffiro, arrivando nella città sventolando ben due bandiere della Regia Marina italiana. Fu un’azione così incredibile che le sentinelle austriache non vi credettero e aiutarono lo stesso Sauro a compiere le manovre. Obbligò poi le sentinelle a rivelare la posizione in cui erano nascosti gli idrovolanti che ogni giorno bombardavano Venezia. Poco dopo i cannoni italiani già sparavano su quegli aerei.
Ma il suo amore per l’Italia e gli italiani non si mostrò solo in guerra. Difatti già nel 1915, quando un terribile terremoto scosse l’Abruzzo mietendo 30mila vittime, partì con un altro gruppo di irredentisti istriani e trentini per portare il loro aiuto. Tra questi vi era Antonio Bergamas, la cui madre Maria fu la donna che scelse la salma del Milite Ignoto.
Sauro fu catturato il 31 luglio del 1916 durante quella che fu la sua ultima azione contro gli austriaci. Pronto ad un’incursione su Fiume, il sommergibile “Giacinto Pullino” andò ad incagliarsi sullo scoglio della Galiola, nel golfo del Quarnaro. Fu arrestato dagli austriaci che lo portarono davanti la madre che, nell’ultimo disperato tentativo di salvarlo, negò di conoscerlo. Ma la testimonianza di alcuni suoi concittadini fedeli all’Austria gli costò la condanna per tradimento e la pena di morte per impiccagione.
Fu impiccato il 10 agosto del 1916 nel carcere di Pola. Chiese di essere ucciso con il berretto da ufficiale della Regia Marina italiana e finché il cappio non si strinse abbastanza, raccontano i testimoni, gridò “Viva l’Italia”. Era un personaggio talmente scomodo che gli austriaci vollero tenere segreto anche il luogo della sepoltura. Per loro sfortuna una ragazza italiana di Pola vide la scena e riferì tutto. Da allora, nonostante i divieti austriaci, gli italiani di quei luoghi portarono fiori sulla tomba dell’eroe italiano. Quando Pola tornò all’Italia dopo la Grande Guerram la salma fu trasportata nel cimitero di Marina. Ma dopo il ’45, con i crimini dei partigiani titini gli italiani abbandonarono nuovamente quella città, ma non la bara di Nazario Sauro, che fu imbarcata sulla nave “Toscana”.
Significative furono alcune lettere che scrisse un anno prima della sua morte nel caso in cui «il destino non mi concedesse di assistere al dissolvimento dell’Austria e alla sospirata liberazione dell’Istria mia». Alla moglie per chiederle «perdono per averti lasciato con i nostri 5 bimbi ancora col latte sulle labbra», al primogenito Nino per ricordargli che «Patria è il plurale di padre. Giura, o Nino, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani».
A distanza di più di 70 anni, nel Nordest italiano due dei più importanti ed eroici patrioti italiani furono uccisi dagli austriaci. Ed oggi bisognerebbe ancor di più riscoprire questi personaggi che hanno contribuito a far grande la nazione. Eroi che hanno sacrificato le loro vite per un qualcosa di più grande: l’Italia. Negli anni del must radical-chic “mi vergogno di essere italiano”, unito alla dilagante esterofilia, c’è sempre più bisogno della riscoperta delle proprie radici. Dei nostri eroi. Perché quanto scritto con il sangue degli eroi non si cancella con la saliva dei politici. Né degli ignavi e chiacchieroni.
Federico Rapini
2 comments
A NOI! O
Complimenti. Grazie.