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Divorzio breve: per i doveri non c’è spazio?

by Federico Depetris
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atto-matrimonioTorino 20 dic – Nei mesi scorsi si è fatto un gran parlare della possibilità di divorziare in tempi rapidi, magari senza l’assistenza di un avvocato, con una stretta di mano e poco più. Qualcosa in effetti si è mosso con la riforma del processo civile fortemente voluta dal governo per alleggerire il carico di lavoro dei tribunali del Belpaese.

Ora, per le separazioni consensuali e per il divorzi congiunti, non è più necessario adire l’autorità giudiziaria. I coniugi possono, infatti, raggiungere autonomamente l’accordo su come separarsi ovvero sciogliersi dal vincolo matrimoniale. Ma di vero e proprio “divorzio breve” al momento non se ne parla ancora, con grande disappunto per un fetta rilevante dell’opinione pubblica, spalleggiata per lo più dalla sinistra, che chiede (pretende) il riconoscimento del diritto (sic) di svincolarsi da un rapporto coniugale.

Prima di interrogarsi sui tempi del divorzio, sarebbe necessario chiedersi cosa sia il matrimonio.

Vi è la tendenza a ritenere il matrimonio un mero fatto “privato” tra due persone (e le relative famiglie) che riguarda esclusivamente i due predetti e non anche il resto dei consociati. Se il matrimonio fosse un mero fatto privato, non si comprende per quale ragione il legislatore ne preveda la celebrazione con forme solenni dinnanzi ad un ufficiale dello stato civile.

Il matrimonio è, infatti, “una cosa a tre”: marito, moglie e Stato (rappresentato dall’ufficiale dello stato civile). L’atto di matrimonio si perfeziona solo quando l’ufficiale dello stato civile completa le operazioni a lui attribuite e non semplicemente con lo scambio delle “promesse” dei futuri coniugi, le cui semplici dichiarazioni di volontà, senza l’attività dell’ufficiale dello stato civile, non assumono alcuna rilevanza giuridica.

Dunque, se lo Stato è parte necessaria del matrimonio, per quale ragione si ritiene che lo stesso sia un mero fatto privato? Il virus dell’individualismo si è radicato a fondo nella nostra società al punto da ritenere che il centro del mondo sia sempre rappresentato dal proprio ombelico. I coniugi con il matrimonio non assumono solo degli obblighi e degli impegni uno nei confronti dell’altro, ma assieme e disgiuntamente assumono doveri anche nei confronti della comunità.

L’ufficiale dello stato civile, non certifica solo la spontaneità e correttezza delle dichiarazioni di volontà dei coniugi, ma anche l’assunzione di un impegno degli stessi nei confronti della società.

La famiglia rappresenta la cellula fondamentale del tessuto sociale della comunità. Essa è innanzi tutto luogo di solidarietà e assistenza, materiale ma anche morale. La famiglia è la struttura sociale che è stata conosciuta per prima da ognuno di noi e che funge da palestra di vita relazionale finalizzata all’inserimento del singolo nelle più complesse strutture sociali presenti all’esterno di essa.

L’attuale scenario sociale ed economico, peraltro, ha evidenziato tutti i limiti della famiglia nucleare (detta anche borghese e che qualcuno, del tutto erroneamente, si ostina a definirla “tradizionale”) oggi largamente predominante anche in Italia. In tempi di difficoltà economiche, insicurezza sociale la prima e più importante forma di walfare è rappresentata proprio dall’assistenza famigliare, oggi del tutto depotenziata a causa dell’atomizzazione in atto.

La continua e costante ricerca, ossessiva e patologica, di disintegrare ogni forma di vita sociale e comunitaria, in nome dell’imperante individualismo, ha creato un insieme di individui, che si credono liberi ma che in realtà sono isolati e fragili e, quindi, del tutto incapaci di qualsivoglia forma di resistenza agli eventi avversi.

In questo contesto, il nostro contesto, dover parlare di “divorzio breve” è assolutamente scontato (necessario direbbero i più) dal momento che tutti procedono nella rincorsa della de-responsabilizzazione e dell’assenza di doveri e vincoli, senza, però, dover rinunciare (sia mai!) ai diritti.

Peraltro, oggi, in tempi di totale assenza di Stato, il matrimonio è destinato a perdere la sua specificità di “atto complesso” (a tre, come si diceva sopra) trasformandosi veramente in un mero accordo tra due soggetti, che assume il medesimo rilievo giuridico del contratto che ogni giorno stipuliamo con il barista sotto casa per consumare il caffé.

Prima di approvare delle riforme sul matrimonio ed il suo scioglimento, sarebbe essenziale iniziare ad interrogarsi sulla famiglia, sulla sua funzione che ha oggi e quella che dovrà o potrà essere domani.

Forse un modo per iniziare a ripensare ad una funzione, effettiva e reale della famiglia, aldilà delle infatuazioni reazionarie, è quello di pensare non al momento finale del matrimonio, il divorzio breve o ordinario che sia, ma alla sua genesi: cosa accadrebbe se per sposarsi fosse necessario convivere stabilmente per 5 anni?

Potrebbe, ad esempio, pensarsi a tre distinti tipi di unione: quella di fatto (analoga all’attuale convivenza more uxorio), una convivenza para-matrimoniale (caratterizzata da un ordito di diritti e doveri analogo a quelli attualmente previsti per il matrimonio e formalizzata per iscritto in atto pubblico soggetto a trascrizione) ed infine il matrimonio civile vero e proprio.

Tale ultima forma di unione verrebbe a costituirsi con un atto complesso e solenne che potrebbe essere formalizzato solo dopo che la coppia, che chiede di contrarre matrimonio, provi di aver contratto stabilmente una convivenza para-matrimoniale per almeno 5 anni.

La famiglia fondata sul “nuovo” matrimonio potrebbe, a fronte dello stabile rapporto già intercorrente tra i coniugi, così venire a godere di una serie di diritti e facoltà che ad oggi lo Stato non riconosce alle famiglie legittime.

Ad esempio, con il matrimonio civile si potrebbe costituire ex lege un patrimonio comune, comprensivo di tutti i beni indispensabili per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia ed assolutamente impignorabile.

In favore delle famiglie fondate sul nuovo matrimonio civile potrebbero attuarsi forme più incisive di aiuto e sostegno per la riproduzione e il mantenimento della prole e potrebbe essere concessa la possibilità di adottare minori in stato di abbandono ovvero di ricevere minori in affido e così via.

Insomma, il dibattito sul matrimonio dovrebbe tornare ad incentrarsi non già sulle sue devianze patologiche, ma sulla sua essenza e funzione.

Fare questa operazione, però, presupporrebbe una vera e propria “rivoluzione copernicana”: al centro dovremmo tornare a mettere i doveri e non i diritti.

Federico Depetris

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