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Craxi e il sogno interrotto del socialismo tricolore

by Alfonso Piscitelli
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Nel sanguigno 1977 una semplice mostra diventava agli occhi dei censori comunisti una bieca provocazione e una minaccia alla coesistenza pacifica con l’Unione Sovietica. A quale evento ci si riferiva e chi era la canaglia reazionaria che la organizzava? La «Biennale del dissenso» nel mirino della intellighenzia era un progetto del mite Carlo Ripa di Meana, che della Biennale di Venezia era il direttore.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di luglio 2022

Peraltro, Ripa di Meana affrontava il tema del dissenso in Russia dopo aver dedicato mostre agli oppositori cileni e a quelli della Spagna franchista. Forse proprio l’equiparazione delle dissidenze, che implicava una simmetrica condanna delle dittature di destra e di sinistra, faceva infuriare il partito. Eppure i comunisti italiani in quegli anni vantavano il loro «eurocomunismo» indipendente dall’Urss.

Craxi e lo strappo con i comunisti

Curioso constatare come il nostro passato ammicchi al presente: in quel ’77 l’ambasciatore sovietico a Roma si chiamava Rijov (non Razov, ma Rijov), e questi si recò dal ministro degli Esteri Forlani a riferire, imbronciato, che la Biennale del dissenso rappresentava un atto ostile dell’Italia nei confronti della beneamata Urss. A quel punto si innescò una marcia indietro diplomatica che coinvolse il presidente del consiglio Giulio Andreotti e il principe degli industriali Agnelli, che mobilitò la sua stampa fidata.

D’altra parte, dietro il garbato Ripa di Meana vi era un politico emergente di più solida corporatura: Bettino Craxi. Il nuovo leader del Psi era sicuro di sé e dello strappo storico che stava realizzando, così fu l’unico politico di peso a partecipare alla giornata dedicata ai dissidenti russi. E la sorpresa fu che non era il solo: in quel gelido giorno di autunno veneziano (15 novembre 1977), una folla considerevole partecipò all’evento, mettendo in imbarazzo i cattocomunisti.

Ovviamente la stampa russa sparò sull’evento, e gli artisti legati al Pci italiano fecero da sponda. Intervistato da una gazzetta di Mosca, il pittore Massimo Zuppelli (chi era costui?) dichiarava che «i quadri dei dissidenti erano una parodia dell’arte, al contrario dei veri pittori sovietici, presenti due anni prima».

Un mentore d’eccezione

La Biennale anti-sovietica era solo una scossa del più vasto terremoto politico che Craxi aveva innescato con la svolta del Midas, l’albergo di Roma dove si era tenuto il congresso del 1976. In quella circostanza il leader storico Nenni fu determinante nell’ascesa alla segreteria del suo pupillo, e in effetti Craxi valorizzò l’aspetto più pregevole della lunga, ma anche ondivaga militanza del vegliardo romagnolo: il socialismo patriottico.

Nenni si era fatto i primi giorni di galera insieme a Mussolini manifestando contro la guerra in Libia di Giolitti. Poi era diventato fervente interventista contro l’Austria, si era arruolato volontario e aveva partecipato a un corso allievi ufficiali. Al momento di ricevere la stelletta di sottotenente, si era però rifiutato di giurare nel nome del re in quanto repubblicano, ed era stato degradato a soldato semplice.

Nel primo dopoguerra aveva aderito ai Fasci di San Sepolcro, giustificando l’attacco squadrista alla redazione dell’Avanti! con la motivazione che il giornale del Psi si era spostato su posizioni filo-bolsceviche. Viceversa, nel momento in cui Mussolini si sposta a destra con la politica dei Blocchi e i primi cenni d’intesa con il Vaticano, Nenni passa all’antifascismo. La logica delle grandi contrapposizioni lo spinge, nei decenni successivi, a essere gregario dell’uomo di Stalin in Italia, Togliatti. Saranno i fatti di Ungheria a scuotere Nenni e a separarlo – con dieci anni di ritardo rispetto a Saragat – dal blocco filo-sovietico per finire nell’alleanza di governo con la Democrazia cristiana. La mossa di Nenni, in fondo, rafforzava la centralità della Dc nel sistema politico italiano, lasciando aperta la questione dell’autonomia del Psi – autonomia innanzitutto culturale – dall’ingombrante partito «fratello».

Craxi da Marx a Garibaldi

Fu proprio quell’«autonomia» l’obiettivo principale della leadership di Craxi: autonomia ideologica dal comunismo, ma anche autonomia d’azione rispetto ai due grandi partiti-chiesa che alla fine degli anni Settanta convergevano nel compromesso storico. In questa logica si inserisce la posizione «umanitaria» assunta da Craxi nei giorni del sequestro Moro: la disponibilità a concedere ai brigatisti ciò che chiedevano (la scarcerazione di qualche terrorista) in cambio della vita del politico democristiano, contro la linea della fermezza di Berlinguer e Andreotti.

Al punto di svolta degli anni Ottanta Craxi fa lo strappo più importante partendo da un ragionamento di cultura politica. Dichiara ormai inservibile Marx, e fa riferimento ad autori come Proudhon e a rivoluzionari nazionali come Garibaldi. C’è uno splendido discorso di Craxi a Marsala del 1982 – anno del centenario della morte di Garibaldi – in cui il leader socialista, con un’oratoria asciutta e precisi riferimenti, inquadra la figura del generale. Davvero invito a recuperarlo nelle teche di Rai Play su internet e ad ascoltarlo tutto.

Leggi anche: Così Usa e finanza si sbarazzarono di Craxi. Un golpe contro la nostra sovranità

Appellandosi a Garibaldi e a Pisacane, Craxi guardava indietro e faceva un grande passo avanti: un’operazione culturale non inedita in una terra come l’Italia. Craxi si libera del marxismo e risale alla sinistra storica che, al netto di tutti i trasformismi parlamentari, era stata nelle sue migliori espressioni sinistra nazionale.

Convergenze mussoliniane

Diventava inevitabile, a quel punto, il confronto con l’altro socialista che aveva abbandonato Marx riscoprendo la nazione, Mussolini: quando i comunisti davano del fascista a Craxi, pronunciavano quell’epiteto con tutto il rancore che in passato si era esercitato su De Gasperi («clericofascista»), su Saragat («socialfascista»), su Fanfani («fanfascista»). Ora era Craxi il nemico di turno che veniva apostrofato alla solita maniera. Ma i tempi erano cambiati e il Pci, dopo la fine del compromesso storico e l’inizio della malattia terminale dell’Urss, era ormai un pugile suonato. Viceversa, si scorgeva benevolenza in…

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