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Dovremmo davvero difendere Israele in quanto "baluardo dell'Occidente"?

by Adriano Scianca
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Roma, 17 mag – Israele? È il “baluardo dell’Occidente”. Quante volte lo abbiamo letto, anche in questi giorni, soprattutto a destra, anche fra i frequentatori di questo sito. Stanno quindi difendendo “l’Occidente”, i soldati israeliani che sparano sui palestinesi? E, soprattutto, stanno difendendo anche noi? È importante chiederselo, perché se lo Stato ebraico divide da sempre l’opinione pubblica sulla base di criteri spesso pre-politici e se spesso le obiezioni che a esso vengono mosse sono di ordine morale, esistono poi, più freddamente, delle categorie politiche a cui è il caso di attingere per riportare la questione su terreni meno sdrucciolevoli.
Ora, che degli europei utilizzino la categoria di Occidente per autodefinirsi è già di per sé piuttosto paradossale se solo si pensi che il concetto stesso di Occidente nasce esplicitamente in chiave anti-europea. In pratica, gli europei oggi rivendicano con fervore appassionato l’appartenenza a una comunità di valori che nasce proprio per escludere loro e che li ha in parte accettati al suo interno, come vassalli, solo che sono stati vinti in una guerra mondiale. Per parte loro, gli americani cominciarono notoriamente a concepirsi come Occidente non per inglobare l’Europa in un più ampio contesto atlantico, ma per sottolineare la ferma rottura con tutto ciò che il Vecchio continente rappresentava. Fu il presidente Thomas Jefferson ad affermare che l’America rappresenta un “emisfero separato”, evocando un meridiano – più morale che geografico – a separare la terra dove “l’agnello ed il leone vivranno in pace l’uno con l’altro” dall’Europa corrotta e dai suoi vizi. In realtà non faceva che riprendere gli insegnamenti di Washington, che nel 1793 aveva già dichiarato: “Sono sicuro che la volontà degli Stati Uniti è di non aver nulla a che fare con gli intrighi e le contese politiche delle nazioni europee”.  Medesimo concetto espresse il presidente Monroe enunciando la sua celebre teoria tesa ad escludere ogni intervento europeo nel Nuovo continente (in sostanza “l’America agli Americani”). Di fatto il meridiano evocato da Jefferson doveva separare Bene e Male, il regno dell’eguaglianza e della libertà dal paese della gerarchia e dell’oppressione. Ora, si badi che l’America ritenne di poter incarnare questo rigetto dell’Europa auto eleggendosi Terra Promessa, cioè la Nuova Israele basata su un’adesione quanto più possibile stringente al dettato biblico.
Che in tale Occidente sia stato in seguito facilmente incluso anche Israele, quindi, e in posizione preminente, appunto come avamposto orientale, non stupisce. Del resto, lo stesso Stato ebraico, al netto delle polemiche sulla legittimità della sua nascita e del suo operato, nasce con un rapporto ambiguo con la tradizione europea. Se da un lato il sionismo, o almeno le sue componenti laiche, si sono ispirate ai nazionalismi (ma anche ai colonialismi) europei, se le sue élite culturali portavano nel nuovo Stato i grandi dibattiti della cultura europea otto e novecentesca – pure, tuttavia, riletti sempre in chiave ebraica -, allo stesso tempo va sempre tenuto presente il ruolo cruciale dell’Olocausto nella fondazione del nuovo Stato. Il quale, per l’appunto, nasce anche come reazione e risposta all’antigiudaismo europeo, da ebrei in fuga dall’Europa, che sentono di dover trovare altrove la propria casa comune. E all’interno della società israeliana stessa, è semmai Tel Aviv a rappresentare la città più assimilabile a standard europei attuali in termini di laicità, vita notturna etc, laddove Gerusalemme si trascina dietro invece il portato di una tradizione profetica e di un bigottismo assolutamente peculiari. L’Occidente american-israeliano che in questi giorni sta celebrando i propri fasti sanguinari attorno alla centralità simbolica di Gerusalemme è quindi una “comunità di valori” a trazione messianica che contempla noi europei poco o per nulla, è qualcosa da cui siamo esclusi, o in cui siamo inclusi solo come componente marginale, inessenziale, accettata a patto che non dia fastidio, che stia in un cantuccio a dire sempre e solo sì, dato che quando non lo fa le si può sempre rimproverare di rivolere le camere a gas. Di qualsiasi cosa possa essere “l’avamposto”, quindi, Israele non sta certo combattendo la nostra guerra, né gli israeliani hanno mai pensato di farlo.
Adriano Scianca

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Dovremmo davvero difendere Israele in quanto “baluardo dell’Occidente”? « www.agerecontra.it 18 Maggio 2018 - 11:56

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