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I limiti insuperabili della crescita

by Eugenio Palazzini
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mapp1Roma, 2 dic – A quasi tre mesi dalla scomparsa del fisico americano Al Bartlett, professore all’università del Colorado a Boulder, cogliamo l’occasione per ricordare il suo lascito più importante e trarne qualche conseguenza difficile da digerire. Bartlett ebbe a ripetere infinite volte una frase all’apparenza oscura, che schiude però un oceano di conseguenze: “Il più grande difetto della razza umana è la sua incapacità di comprendere la funzione esponenziale”. E allora, si dirà? Allora prepariamoci a capire qualcosa che nessuna classe dirigente del mondo scaturito dalla seconda guerra mondiale ha mai voluto neppure sfiorare, blaterando invece di “crescita” senza cognizione di causa, che deve essere invece patrimonio culturale consolidato di una nuova avanguardia politica nazionale rivoluzionaria.

Il concetto è apparentemente abbastanza semplice: se una qualsiasi quantità – di popolazione, di merci, di denaro, ecc – cresce a un certo tasso positivo per unità di tempo, per esempio annuale, per quanto possa essere relativamente piccolo questo tasso, la sua crescita nel tempo sarà gigantesca; appunto, esponenziale.

Fig_1-economiaPrendiamo il caso dell’economia globale, e assumiamo che in un determinato anno questa sia quantificabile al valore 100. Assumiamo poi che questa cresca a diversi tassi annuali, per es. 1.5%, 3% e 5%. Nel grafico a lato è evidente come in 50 anni questa, rispettivamente, raddoppi, aumenti di quattro volte e mezzo e di oltre 11 volte! Ora, dal 1998 al 2012 l’economia mondiale è aumentata al tasso reale (depurato dall’inflazione) di circa il 3.5% annuo (fonte www.indexmundi.com ), aumentando fino a oggi di ben il 72%, mentre prima del 2030– continuando così – dovrebbe perfino triplicare, e sestuplicare entro il 2050!

Eppure, non pare davvero che dal 1998 a oggi, con le ripetute crisi prima del 2000-2002, poi soprattutto del 2008-2009, l’economia sia cresciuta così tanto (soprattutto in Italia, ferma a un miserabile 0.5% medio e tuttora in piena contrazione).

Il punto però è un altro: con cosa potremo mai alimentare una economia più grande di tre o perfino sei volte? Inevitabilmente, l’attenzione si sposta sull’energia necessaria a sostenere la crescita.

Fig_2-elettricit+áPer farlo, prendiamo i dati disponibili nell’ultimo rapporto annuale sull’energia della BP . Si scopre allora che nello stesso periodo 1998-2012 la produzione, e quindi il consumo, globale di elettricità è cresciuto praticamente quanto l’economia mondiale, mediamente del 3.4% all’anno, attestandosi nel 2012 a 22500 miliardi di kWh (chiloWatt-ora). A questo ritmo, il fabbisogno di elettricità raddoppierà entro il 2033 e raggiungerà l’astronomico valore di 80000 miliardi di kWh intorno al 2050, cioè tre volte e mezzo il consumo attuale e cinque volte e mezzo il fabbisogno del 1998. Il grafico a fianco esprime più di tante parole.

Assumiamo, poi, di essere tanto bravi da escludere di bruciare un solo grammo di petrolio, o gas, o carbone, per generare la quantità di elettricità in più che ogni anno servirà a sostenere la crescita – attenzione: solo la quantità in eccedenza rispetto al consumo attuale. Per quanto questo sembri improbabile, almeno un minimo di consapevolezza del rischio mortale derivante dai cambiamenti climatici si è fatto strada egli ultimi due decenni; allora, immaginiamo di iniziare a produrre l’elettricità in eccesso da sole fonti rinnovabili precisamente a partire dall’anno 2015 e, per semplificare, ipotizziamo di utilizzare soltanto la fonte solare fotovoltaica in cui, per altro, l’Italia ha aperto la strada al mondo intero.

Nello stesso grafico vediamo una stima degli investimenti necessari ogni anno per installare i necessari campi fotovoltaici in giro per il mondo (per queste stime, il lettore si fiderà dell’autore di questo articolo, che è immodestamente un esperto in materia). Ebbene, si comincia nel 2015 con quasi 700 miliardi di Euro, per superare i 1100 miliardi nel 2030 e quasi raggiungere l’improbabile valore di 2200 miliardi di Euro, sempre annui, nel 2050, espressi in moneta corrente. Insomma, 13000 miliardi di Euro in totale solo nei primi 15 anni, fino al 2030! Vi pare possibile? Come alternativa rispetto a finire arrostiti nel clima avvelenato dal carbone non c’è male, vero?

Fig_3-petrolioDal carbone… perché di petrolio non ce ne sarà mai più di quanto ne sia disponibile oggi (cfr. AspoItalia, ma si suggerisce un approfondimento in inglese da The Oil Drum): Infatti, il consumo globale di petrolio, sempre su dati BP, è aumentato dal 1998 a un tasso pari ad “appena” il 1.4% annuo; eppure, anche a questa velocità ridotta, necessaria per sostenere l’aumento della mobilità privata e commerciale, tuttora a schiacciante maggioranza basata su prodotti petroliferi, e la produzione petrolchimica, inclusi i fertilizzanti per l’agricoltura, nel 2030 i consumi dovrebbero salire a 115 milioni di barili al giorno contro i 90 attuali, per arrivare a 150 barili al giorno nel 2050, esattamente il doppio rispetto al 1998 quando il petrolio costava poco più di 10 dollari al barile contro i 100 di oggi. Di nuovo, vi pare possibile? Rispondiamo direttamente: no!

Del resto, con tutte le scoperte di giacimenti petroliferi importanti terminate intorno alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, cosa ci potevamo aspettare? A chi ancora non ci credesse (e non sono pochi a non arrendersi neppure di fronte all’evidenza), non si può che suggerire nuovamente la lettura dell’articolo su The Oil Drum. E ancora, se pure per assurdo trovassimo petrolio sufficiente, come potremmo pensare di condannarci all’estinzione fumandocelo tutto?

Alla fine, però, perché dovremmo mai crescere ai ritmi di cui si è discusso sopra? Sempre per la stessa diabolica ragione della redditività del capitale o, se preferite, dell’interesse sul denaro prestato e investito, o ancora, per gli inguaribili Poundiani, per l’usura elevata a onnipresente sistema globale di controllo, oppressione e individualismo. Come già misticamente, e forse anche più prosaicamente, aveva intuito la Chiesa medievale agli albori del sistema bancario, se il tempo è di Dio, quindi di tutti, non può essere rubato agli uomini attraverso l’interesse. Solo che oggi non solo il tempo quotidiano ma tutto il tempo futuro rischia di esserci rubato in nome dell’interesse – usuraio non in ragione di qualche specifica soglia di tasso ma in se stesso.

La scienza, si obietterà, rimedierà anche a questo, assicurandoci un generoso futuro di abbondanza per tutti, o almeno un futuro dignitoso. Magari… nello spazio, come si favoleggiava negli anni ’60 del secolo scorso, o attraverso chi sa quali invenzioni. Il problema è che il tasso di invenzioni realmente utili all’uomo e alla qualità della sua vita ha anch’esso passato da tempo il suo “picco”, collocato intorno alla metà del diciannovesimo secolo o poco dopo, tanto che si stima che oggi il tasso di innovazione utile non superi quello dell’anno 1600 – si, l’anno milleseicento, avete capito bene! (e non chiamate in causa gli smart phone, che di certo non hanno reso la vita più sicura, semplice e godibile). Guardatevi intorno: le auto vanno ancora a benzina o gasolio come 100 anni fa, le centrali termoelettriche sono appena più efficienti rispetto all’inizio del novecento, la stessa energia fotovoltaica affonda le proprie radici nelle scoperte di Becquerel (1939) ed Einstein (1905). Gli indubbi (e ovviamente del tutto positivi) progressi della medicina hanno consegnato al pianeta un carico spaventoso di anziani non accompagnato dalle risorse necessarie a prenderne la dovuta cura. Di passaggio, allora, è proprio il caso che si continuino a buttare in pozzi senza fondo enormi quantità di risorse per ricerche palesemente improduttive se non completamente inutili, frutto dell’autoreferenzialità di una casta scientifica che è venuto il tempo di spazzare via come tante altre caste più note ma forse meno dannose? Torneremo sulla questione.

Senza rassegnazione né isterismi, ma con la forza virile della volontà e dell’azione, è l’ora che prima si comprenda e quindi ci si faccia carico della dura realtà delineata in questo breve pezzo.

Francesco Meneguzzo

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