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Il 7 aprile del 1300 Dante si perdeva nella “selva oscura”

by Federico Rapini
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Dante1aRoma 7 apr-“Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita”.

Così Dante Alighieri iniziava il suo capolavoro per eccellenza. Il suo viaggio spirituale nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, raccontato nella Divina Commedia. Un viaggio che lo portò ad imbattersi in coloro che fecero la Storia fino a quel momento. Virgilio, Ulisse, Tiresia, Giustiniano, Guinizzelli, Catone l’Uticense e molti altri che il “sommo poeta” immaginò di incontrare nel suo percorso che lo portò alla conversione dal peccato, a ritornare sulla “retta via”, fino a giungere alla visione di Dio, ad accedere alla verità.

Compì questo viaggio grazie alla Ragione, impersonata da Virgilio, a Beatrice, la sua amata che lo guiderà nel Paradiso fino all’anfiteatro dei beati, dove sarà San Bernardo a condurlo alla visione di Dio e della verità.

Secondo alcune teorie, come quella di Porena e Sermonti, il viaggio sarebbe iniziato il 25 marzo, seguendo perciò il calendario fiorentino dell’epoca, secondo il quale in questa data sarebbe stato concepito il Cristo. Nel Medioevo era difatti consueto iniziare a contare i giorni dell’anno non dal I° Gennaio ma “ab nativitade”, ovvero dal 25 dicembre, oppure “ab incarnatione”, cioè dal 25 marzo.

Il comune fiorentino dell’epoca in cui visse Dante adottò, secondo alcuni atti notarili, il secondo parametro. Perciò stando a quanto il diavolo Malacoda afferma nel canto XXI ai vv 112-114 (Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’otta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta), Porena e Sermonti hanno fissato l’inizio del viaggio al 25 marzo del 1300.

Invece per Natalino Sapegno, uno dei maggiori studiosi del ‘300 letterario italiano, le parole del diavolo indicano che Dante intendeva fissare l’inizio del proprio viaggio con il giorno della morte di Cristo al Venerdì Santo, che nel 1300 cadde l’8 aprile.

Dunque la notte del 7 aprile del 1300, secondo gli studi di Sapegno, Dante si perse nella “selva oscura”, simbolo della perdizione, del peccato in cui l’uomo contemporaneo si trovava.

Solo grazie alla Ragione, la sua guida Virgilio, Dante riuscì ad uscirne alle prime luci dell’alba del Venerdi Santo (8 aprile) e ad intraprendere quel grandioso viaggio descritto nei 33 canti della Divina Commedia.

Un viaggio in cui Dante fa sfoggio di tutta la sua cultura. Sia religiosa che classica.

Per la discesa all’Inferno prese spunto dai miti di Orfeo, di Teseo, di Ercole. Ma soprattutto fece riferimento alla discesa di Enea nell’Ade raccontato magnificamente da Virgilio nel VI libro dell’Eneide. Non vanno dimenticate però la Lettera ai Corinzi dell’Apostolo Paolo, nella quale viene narrato il suo rapimento “al terzo cielo” interpretando i 3 giorni che passarono tra la morte di Cristo e la sua resurezione come il tempo necessario per discendere nell’inferno e liberare i patriarchi. La lettera ai Corinzi rientrava nel patrimonio culturale del poeta fiorentino, così come il “Somnium Scipionis” di Cicerone e l’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni.

Un mix di tradizioni che ben si adattarono con lo stile adottato dal poeta. Da uno stile più basso ed umile dell’Inferno si passa ad uno stile più elevato, aulico nel Paradiso. Cambia quindi a seconda del tema, dei luoghi e dei personaggi trattati. Un capolavoro a tutto tondo in cui Dante racconta il suo percorso nell’aldilà per ammonire l’umanità di quanto sia facile cadere nel peccato. Ma al tempo stesso il suo viaggio vuole dimostrare come, anche in uno stato di disordine e caos, seguendo la guida dell’Impero (Virgilio) nelle cose temporali, e lasciando solo la spiritualità alla Chiesa (Beatrice), sia possibile raggiungere l’ordine e la felicità.

Un viaggio iniziato 715 anni fa e che ancora oggi è motivo di orgoglio per la letteratura italiana.

Federico Rapini

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