Lisbona, 23 apr – Riccardo Marchi è uno storico italiano che vive in Portogallo, si è dedicato allo studio delle destre radicali nella democrazia portoghese. Dal 2008 è ricercatore nell’Istituto di scienze sociali dell’Università di Lisbona. Nel 2010 organizzò un seminario “Le radici profonde non gelano? Idee e percorsi delle destre portoghesi” a cui partecipò Jaime Nogueira Pinto, difensore di Salazar nel programma televisivo “I Grandi Portoghesi” ed ex-esponente della Nuova Destra, oltre a vari accademici vicini alla destra istituzionale. Gli interventi di questo seminario sono stati riuniti in un libro essenziale per la comprensione dello stato e del futuro delle destre radicali e non in Portogallo.
– Qual era l’obiettivo del seminario che ha dato origine a questo libro?
Quando nel 2005 iniziai le mie ricerche per il dottorato sulle destre radicali alla fine dello Estado Novo – tesi pubblicata in due libri in lingua portoghese “Folhas Ultras (ICS,2009) e “Império Nação Revolução” (Leya, 2009) – sentivo la mancanza, nella mia revisione bibliografica, di opere congiunte sul tema delle destre in Portogallo che potessero servirmi per inquadrare il mio obiettivo di studio. Questo genere di bibliografia è già presente, da molti anni, in altri paesi dell’Europa Occidentale: non parlo solo di lavori importanti come “La Droite en France” di René Remond (1954), ma di una grande varietà di analisi storiografiche e politologiche congiunte che furono pubblicate durante gli anni in differenti paesi sui percorsi delle destre autoctone, sulle sue differenti matrici dottrinarie, le sue evoluzioni, le strategie, le convergenze, le divergenze, i legami che lasciarono gli attori politici che occupano attualmente questo spazio politico.
-Non c’erano lavori simili in Portogallo?
C’erano in Portogallo numerosi e buoni lavori sulla prima metà del XX secolo, Estado Novo incluso, di meno sulla seconda metà del secolo passato. Ma soprattutto mancava – e manca – una riflessione diacronica sulle destre portoghesi contemporaneità. Un’opera di questo genere è molto complessa e scaturisce dopo molti anni di ricerca e di riflessione, ragione per cui quando nel 2010 iniziai questo progetto editoriale, il mio intuito era molto limitato: ho raccolto dei lavori di alcuni colleghi sulle differenti esperienze delle destre portoghesi, dal “miguelismo” fino ai nostri giorni, per proporre una serie di riflessioni che possano contribuire ad un’analisi di lungo periodo delle destre in Portogallo. Come è ovvio e come si usa dire in queste circostanze, non si tratta di porre la parola fine alla ricerca su questo tema, ma di partecipare al dibattito storiografico sulle destre radicali in Portogallo.
Senza dubbio. L’esistenza di più destre, molto differenti tra loro, è un dato empirico.
Ci sono alcune destre controrivoluzionarie e altre destre eredi delle rivoluzioni del XVIII e XIX secolo, monarchiche e repubblicane, alcune profondamente influenzate dalle rivoluzioni nazionali degli anni 20’ e 30’ del XX secolo e delle destre che si opposero strenuamente al fascismo; destre cattoliche anti-conciliari e destre laiche che hanno poco interesse riguardo la dimensione religiosa; sono presenti destre che, di fronte alla crisi dell’Europa, cercano soluzioni indietro nel tempo (dalle radici più profonde del Vecchio Continente) e destre che cercano soluzioni nello spazio geografico (guardando al di là dell’Atlantico). Davanti a questa diversità – qui solo brevemente delineata – utilizzare il termine “Destra” al singolare vizia sin dall’inizio, partendo dal presupposto che esiste una tradizione unica dalla quale è possibile rintracciare un ‘fil rouge’ deterministico. Il libro ha voluto evitare questo determinismo e scommettere di più nella diversità che risulta sempre più fruttuosa quando si vogliono evidenziare le caratteristiche profonde di certi fenomeni per valutare quanto e come queste caratteristiche sono rimaste nel tempo.
– Quali sono i partiti o i movimenti più importanti della destra portoghese?
In Portogallo è possibile identificare in modo molto netto l’area della destra parlamentare da quella della destra extra-parlamentare.
La destra parlamentare è costituita dal Centro Democratico Sociale – Partido Popular (CDS-PP), terzo partito per numero di voti e con una presenza ininterrotta nel parlamento portoghese sin dalle prime elezioni democratiche del 1976. Nel CDS coesistono tre matrici ideologiche: la conservatrice, la democristiana e, in minor misura, la liberale. È nato come partito delle elite legate al regime autoritario, ma, a differenza del PP spagnolo in relazione al franchismo, non ha mai rivendicato né difeso l’eredità salazarista.
Il dato più interessante nei 40 anni di democrazia è il tentativo negli anni 90 dell’attuale leader Paulo Portas – attraverso la figura di un allora molto giovane Manuel Monteiro – di caratterizzare il CDS come partito populista e euroscettico. La strategia non ha dato i risultati sperati ed il CDS si è normalizzato, assumendo toni più centristi. Nel 2003, Manuel Monteiro tentò nuovamente l’esperimento populista con la formazione liberal-conservatrice Nova Democracia, ma nuovamente senza alcun esito.
La destra extra-parlamentare è un pò più complicata dal punto di vista storico. Appena caduto il regime (25 Aprile 1974) si sono formati vari partiti di ispirazione nazionalista, ma nessuno di essi è riuscito a consolidarsi. Solo a titolo di esempio, l’ultimo tentativo di un certo peso per conquistare seggi parlamentari è avvenuto nel 1980 con una coalizione di tre partiti (Partido da Democracia Cristã – PDC; Movimento Independente para a Reconstrução Nacional – MIRN; Frente Nacional – FN) che non è riuscita a superare lo 0.4%. Nel decennio successivo sono rimasti attivi solo il PDC e il MIRN, ma con una presenza poco più che testimoniale. Nella stessa decade degli anni 80 si è verificato un fenome degno di nota: è sorto in Portogallo un nuovo tipo di nazionalismo costituito dalla giovane generazione post-25 Aprile, estranea alla cultura politica del regime autoritario, poco interessata al messaggio del nazionalismo classico portoghese (destino imperiale e missione civilizzatrice cristiana) e più attratta dalle correnti giovanili e subculturali del resto d’Europa. L’esempio più famoso é stato il Movimento de Acção Nacional (MAN), sorto dalla confluenza neo-nazionalismo e subcultura skinhead e che, ad ora, è l’unico movimento di destra radicale portoghese ad aver sofferto un processo (1993) presso il Tribunale Costituzionale per ispirazione fascista.
Terminata l’esperienza effimera del MAN per autodissoluzione, i suoi dirigenti si sono impegnati, negli anni 90, al progetto di fondazione di un nuovo partito politico che fosse casa comune per le destre radicali portoghesi. Il progetto si è concretizzato nel 1999, con la confluenza di frange salazariste dell’antico regime e frange del neo-nazionalismo degli anni 80, che ha permesso la nascita del Partido Nacional Renovador (PNR).
Il partito ha sofferto inizialmente le divergenze dottrinarie fra le due anime: quella salazarista ancora legata al mito imperiale del Portogallo multietnico, quella neo-nazionalista etnocentrica e identitaria. Dal 2005 è quest’ultima che ha prevalso, con la segreteria di José Pinto Coelho. La strategia di riproposizione in Portogallo delle tematiche dell’estrema-destra europea non ha però dato risultati positivi. O meglio: non ha risolto la marginalità assoluta delle destre radicali in Portogallo. Al di là dell’assenza di leadership carismatica e quadri politici professionali (importante per questo tipo di partiti), bisogna sottolineare il fatto che le tematiche anti-immigrazione e anti-europee non hanno vita così facile in Portogallo. Nel primo caso, il Portogallo è un paese di emigrazione più che di immigrazione e i problemi legati alle società multietniche sono riscontrabili solo nelle zone metropolitane di Lisbona e Oporto, ma non nel resto del territorio nazionale. Nel secondo caso, l’Europa è vista come la fonte di finanziamento che dal 1986 (anno di adesione del Portogallo alla CEE) ha permesso la modernizzazione del Paese. L’attuale crisi finanziaria e il controllo da parte della Troika internazionale hanno raffreddato l’eurofilia dei portoghesi, ma non tanto da premiare le formazioni euroscettiche (campo in cui l’estrema sinistra – Partito Comunista Portoghese e Bloco de Esquerda – hanno una tradizione più consolidata). Ciò non vuol dire che in Portogallo non esista un elettorato di protesta, potenzialmente interessato in un partito populista. I dati dell’astensionismo (superiori al 40%) dimostrano che questo elettorato esiste. Il PNR non è riuscito minimamente a capitalizzarlo, restando ai margini della politica portoghese col suo 0.5%.
Non c’è dubbio che chi afferma di essere di destra in Portogallo conduce il proprio interlocutore ad associare immediatamente questa posizione con concetti come salazarista, autoritario, di dubbio “pedigree” democratico. E’ un riflesso naturale vista la relativa prossimità storica del regime autoritario. Tuttavia, direi che, negli ultimi anni il fenomeno più interessante è l’associazione costante delle destre non tanto all’Estado Novo bensì al neoliberismo. Il salazarismo sta perdendo punti rispetto al neoliberismo nell’associazione alle destre.
– Questo ha un senso?
Questo genere di associazioni più che “avere o non avere un senso”, sono poco utili per un’analisi scientifica perché i concetti, usati e abusati nelle polemica politica, finiscono per perdere la loro capacità euristica. Il termine “neoliberista” soffre di questa degradazione. Nell’area governativa della democrazia portoghese, le destre sono accusate di aver tradito le rispettive matrici social-democratiche e democristiane per diventare neoliberiste; le sinistre sono accusate di aver tradito la matrice socialista attuando politiche neoliberiste e di essere in procinto di tradirla di nuovo facendo di peggio; le sinistre radicali che tentano di approssimarsi ai socialisti sono accusati di deviazionismo neoliberista; il FMI è neoliberista, l’Unione Europa è neoliberista. Mario Soares, che fece entrare il FMI in Portogallo nel 1977 e il Portogallo nella CEE nel 1986, è il paladino dell’anti-neoliberismo. Quando un’etichetta è destinata a spiegare tutto, si rischia di non spiegare nulla.
– Cosa che è successo con l’associazione all’Estado Novo…
L’associazione tra Destre e Estado Novo ha sofferto dello stesso limite: strumento utile per capire parte della cultura politica delle destre nella democrazia portoghese, diventa molte volte una prospettiva invalidante, inadeguata per comprendere in profondità altre matrici ideologiche, altri percorsi, altre strategie presenti nelle destre a partire dal 1974 e che determinano la loro evoluzione più del lascito estadonovista.
– Non pensa che l’associazione delle destre ai “fascismi” sia un facile attacco delle sinistre?
Associare le destre attuali ai fascismi degli anni ’30 è un attacco tanto facile come associare le sinistre attuali ai regimi comunisti pre-1989. E ‘così facile che diventa banale, inutile, senza senso in un modo tale che anche la polemica politica più semplice, che non è più così comune che un rappresentante politico delle destre sia soprannominato “fascista”, proprio perché essendo veramente altro sia in termini di dottrina, sia in termini di ‘prassi’, nulla è più facile per il bersaglio che rifiutare queste accuse con le più veementi attestazioni di antifascismo.
Non vorrei parlare di un “semplice attacco” da sinistra a destra attraverso l’etichetta di “fascista”, ma vorrei sottolineare, tuttavia, un fenomeno diverso: le sinistre alla sinistra dei socialisti hanno da tempo capito l’inutilità della carica del fascismo diretta alla destra e ha scelto altre etichette come il già citato “neoliberista”, nonostante il peso simbolico sia chiaramente meno pesante.
Dai socialisti alla destra, al contrario, non mi sembra che ci sia una corsa all’attribuzione di etichette infamanti per lanciare facili attacchi.
Mi sembra, invece, che ci sia una proliferazione di mutue attribuzioni di patenti democratiche, per sottolineare la legittimità nell’alternanza al potere di fronte ai pericoli provenienti dai settori giudicati estranei dall’arco democratico: così, nella sinistra abbiamo una distinzione tra la “sinistra democratica” e le altre (radicali, comuniste); nella destra abbiamo la distinzione tra la “destra democratica” e le altre (estreme, populiste). I “democratici” di destra e di sinistra si legittimano mutuamente davanti agli “altri”: questa evidenza portoghese è perfettamente integrata nel panorama della politica europea.
Mi permetta di concludere con una annotazione: rimane interessante la preoccupazione sottostante alla sua domanda sul “ facile attacco” subito dalla destra attuale attraverso l’etichetta di “fascista”. Negli anni ’30, l’attacco facile – e insopportabile – per un fascista è stato di essere nient’altro che un “uomo di destra”.
– Qual è il futuro delle destre in Portogallo?
Quanto più si studia il polimorfismo delle destre nella Storia portoghese, più ci rendiamo conto del processo di omogeneizzazione e di conformismo al pensiero dominante che ha subito negli ultimi anni. Nulla suggerisce che questo processo sia destinato a invertirsi nel breve termine, il che non implica ostacoli alla gestione del Potere. Piuttosto il contrario.
Duarte Branquinho, direttore del settimanale portoghese O Diabo
Traduzione di Guido Bruno