Roma, 21 gen – E’ da poco uscito per Arianna editrice il libro Mare Monstrum – Immigrazione bugie e tabù, scritto dal palermitano Alessio Mannino. Ecco come l’autore ha risposto alle nostre domande:
Dal tuo libro emerge uno stretto legame tra il fenomeno della globalizzazione e quello dell’immigrazione. Potremmo parlare di un rapporto causa-effetto?
Certo. L’immigrazione, di massa e costante, prevalentemente economica e ideologizzata a fatto fisiologico, è una conseguenza della globalizzazione. E’ uno dei suoi volti: come circolano le merci, nella logica globalizzatrice deve circolare incessantemente anche la “merce uomo”.
A sinistra, in nome di motivi umanitari, stanno forse dimenticando Marx e il suo esercito industriale di riserva. Credi ci sia un cortocircuito sul tema dell’immigrazione in quell’area politica?
La sinistra o quel che ne rimane ha sostituito Marx con la Boldrini. Seriamente: non sa e non vuole più analizzare la società e le sue contraddizioni, non guarda in faccia la realtà e ne ha una rappresentazione completamente distorta basata sull’illusione del singolo individuo libero di fare ed essere quel che gli pare e dove gli pare, quando invece questo è il miglior modo per far trionfare i bisogni e i desideri indotti dal Capitale. Che se non sbaglio, era il titolo dell’opera maggiore (anche se non la migliore) di Marx. La sinistra è l’alleata ideale dei padroni del vapore.
A destra, talvolta, si usano parole forti come “invasione” per parlare del fenomeno migratorio; ma aldilà del linguaggio politico, che deve essere per forza semplificato, credi anche tu che siamo (o stiamo per essere) invasi?
No. Invasi da chi? L’immigrazione è una lenta ma discontinua penetrazione che deve obbedire ai cicli del mercato di schiavi salariati, difatti in questi anni stiamo assistendo ad un trasferimento di immigrati che dall’Italia se ne vanno in Paesi meno colpiti dalla crisi economica. Parlare di invasione presuppone una volontà di invadere. Qui siamo invece ad una dinamica che va ormai per conto suo. E poi i numeri sono inferiori rispetto ai nostri vicini europei, Germania e Francia in primis.
In generale non ti sembra che la politica sia stretta nella morsa del politicamente corretto su questo tema? Come si dice qualcosa fuori dal coro, si viene immediatamente tacciati di razzismo e xenofobia…
Ci sono vari cori, non uno soltanto. Il punto è che è inaccettabile che chi, realisticamente, pone la questione di porre limiti (numerici, sociali, geopolitici) all’ingresso di stranieri venga tacciato di razzismo. Ci sono state addirittura sentenza della magistratura che motivavano la condanna perché secondo il giudice il “differenzialismo” sarebbe un razzismo mascherato. Io rivendico il diritto e il dovere alla differenza. Purchè sia chiaro che il rispetto della propria identità implica il rispetto dell’identità altrui.
Identità, comunità, limite. Sono tre concetti chiave nel tuo libro, come possono declinarsi nella realtà? C’è qualche forza politica che se ne fa portatrice?
Il grosso problema dell’identità è chiarire quale sia la nostra, di italiani ed europei. L’abbiamo svenduta ai valori mercantili del denaro e al vuoto del consumismo, con buona pace di chi crede che il Cristianesimo possa fornirne una. Credo si debba puntare sull’identità dell’Europa, declinandola come civiltà non più dei Lumi, ma dell’Umanesimo integrale, lontano dal nichilismo di derivazione americana ma anche da certo laicismo che poi è solo individualismo da quattro soldi. In parole povere, l’Uomo viene prima dell’Economia. Per questo bisognerebbe ripensare gli Stati nazionali sulla base delle comunità locali, e l’Europa come Confederazione di Popoli. Il senso del limite è l’architrave antropologica, filosofica ed esistenziale per ritrovarne uno nel fare politica e cultura: dunque anche limiti fisici, territoriali, anzi prima di tutto quelli. Un popolo che si riscopra comunitario non caccia a priori nessuno, ma accoglie soltanto chi e quanti può e vuole accordando alle comunità straniere diritti e privilegi a seconda delle rispettive esigenze, prime fra le quali devono essere le proprie.
In appendice al tuo libro ci sono interviste a Massimo Fini e Diego Fusaro. Quali altri pensatori sono sulla loro lunghezza d’onda sul tema immigrazione-globalizzazione?
Direi soprattutto il francese Alain De Benoist, intervistato anche lui in fondo al libro. Il suo comunitarismo e differenzialismo alieno da ogni tentazione razzista è senz’altro il modello migliore a cui ispirarsi. Da non dimenticare la lezione, che vale anche in tema migratorio, della scuola della decrescita felice, perché se l’immigrazione è un portato della globalizzazione, quest’ultima ha la sua dinamica interna nella crescita economica infinita, una follia autodistruttiva per il pianeta che reca vantaggi soltanto all’oligarchia finanziaria e ai suoi manutengoli. E’ questa stortura fondamentale a renderci l’esistenza un inferno di oppressione e angoscia, condannando anche gli immigrati a subirla, vittime e complici volontari della propria schiavitù. Una fregatura per tutti, sia per chi arriva sia per chi ospita.
Intervista a cura di Rolando Mancini