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L’alba della giovinezza. Brasillach racconta Degrelle

by La Redazione
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robert_brasillachRoma, 6 feb – Il 6 febbraio 1945, esattamente 70 anni fa, lo scrittore e poeta francese Robert Brasillach veniva fucilato dopo un processo politico istituito nei suoi confronti in qualità di maggiore esponente intellettuale della Collaborazione. Lo ricordiamo pubblicando la traduzione parziale di un suo articolo in cui si descrive la visita del poeta al capo fascista belga Léon Degrelle (IPN)

Avrete forse saputo, mia cara Angèle, che io ho passato in Belgio la settimana in cui i caffé parigini hanno fatto sciopero, non certo, come voi sembrate insinuare, per un amore smoderato della birra belga, la quale è eccellente, né per piazzare in banche sicure capitali che non ho. Un giorno vi racconterò di questo viaggio, ma bisogna prima di tutto rispondere alla questione un po’ ansiosa che mi ponete: “Avete conosciuto Léon Degrelle?”. Capisco bene l’incoerenza affascinante del vostro cuore e del vostro spirito: voi amate il Fronte popolare e alzate volentieri, al the con i vostri amici, un pugno chiuso, d’altronde minuto e delizioso, ma siete anche sensibile ai condottieri di uomini e l’ultimo nato di questi capi, segretamente, non vi dispiace.

Rassicuratevi, cara Angèle: sì, ho visto l’uomo di cui mi parlate. Avrei, lo confesso, qualche scrupolo a descriverlo se mi indirizzassi a qualcun altro: i francesi sono abbastanza maldestri nel parlare delle cose dei belgi e avrei avuto paura di sbagliarmi. Ho letto sul giornale Rex un racconto molto malizioso: il racconto di un intervista con Léon Degrelle da parte di un giornalista parigino della grande informazione. Credetemi, è esattamente così: io amerei tanto non essere giornalista.

Ho dunque visto Léon Degrelle, il giorno esatto in cui compiva il suo trentesimo anno, lo scorso 15 giugno. Questo giovane capo, a dire il vero, non sembrava avere molto più di venticinque anni. E ciò che bisogna innanzitutto confessare è che, davanti a un ragazzo vigoroso, circondato da altri ragazzi altrettanto giovani, non ci si può difendere da una malinconia piuttosto amara. Si è creduto di poter svalutare Rex chiamandolo un movimento di ragazzini. Oggi ci sono attorno a Léon Degrelle uomini di tutte le età e la sola giovinezza che mi interessa è quella dello spirito. Ma l’essenziale resta nella gioventù reale, la gioventù fisica degli animatori, che si comunica a tutto l’ambiente. Diamine, mia cara Angèle, quando avremo in Francia un movimento di ragazzini?

Ad altri osservatori più anziani, forse, gli uffici di Rex sarebbero sembrati così penosi come gli uffici del quotidiano Le Pays Réel dove io andavo presto a comprare qualche brochure e questa insegna rexista con cui io sorprendo i passanti, a Parigi. Ho visto questi raggruppamenti di studenti, disordinati, vivaci, in cui sembra regnare lo scherzo e l’umorismo. E poi si dice che questi studenti abbiano dietro di sé centinaia di migliaia di uomini, che li si ascolta. Che essi possono essere l’alba di una cosa molto grande, e che noi abbiamo, in ogni caso, molto da apprendere da loro.

Io vedo avanzare verso di me questo giovane uomo agile, di bel portamento, i cui occhi brillano così gioiosamente in un viso pieno. Mi parla con una voce forte, per le folle, squillante ma naturale. Io non sobrasillach ancora ciò che mi dirà, non so quanto vale: so solamente che egli respira una gioia di vivere, un amore per la vita, e nello stesso tempo un desiderio di migliorare questa vita per tutti, di combattere, che sono già cose ammirabili. Io non credo, cara Angéle, che esistano grandi capi senza una sorta di animalità abbastanza potete, di splendore fisico. Ignoro se Léon Degrelle abbia altre qualità: ma egli ha innanzitutto queste.

Ce ne sono altre altrettanto visibili, d’altronde, e tutte così istintive.

“Io non sono un teorico politico – dice con forza –. La politica è una cosa che si sente, è un istinto. Se non si ha questo istinto, è inutile cercare alcunché. Ma, certamente, bisogna lavorare, bisogna fare degli sforzi. Sono diversi anni che ci facciamo conoscere. L’estate non viene in un giorno”.

Questa frase sembra particolarmente adatta a lui, questa visione stagionale della politica, questo grande modo di sentire il vento, di cercare la corrente carnale delle cose. È così che Léon Degrelle ha toccato tanti spiriti in Belgio, e anche al di là delle frontiere. Egli ha cristallizzato in Rex non tanto delle idee ma delle tendenze. Tendenze che si sono tradotte d’altronde nel particolare molto più precisamente di quanto non si creda. È proprio per il fatto che egli non si fida dell’astrazione e che ha dei reclami particolari che Rex ha successo: la nostra vita quotidiana è nel dettaglio e non nel generale, e le donne, cara Angèle, dovrebbero comprendere ciò.

“È ciò che i partiti di destra, in Francia come in Belgio, non hanno saputo vedere – dice –. Hanno un programma sociale, certamente, ma non lo applicano mai alla vita. Essi ignorano questa vita. La sola classe che abbia una educazione politica, buona o cattiva, è la classe operaia: è la sola che assiste a delle riunioni, che legge dei giornali, che sa reclamare ciò che vuole. I partiti di destra si sono esclusi da questa partecipazione del popolo alla vita. E senza il popolo, che cosa volete fare?”.

Solamente da questo bisogna cominciare a ragionare.

“Il nostro è un movimento popolare. Non bisogna credere che i socialisti facciano qualcosa per gli operai. La settimana di quaranta ore? Esiste da due anni in Italia. E a partire dall’anno prossimo, in Germania, si manderanno gli operai in crociera per tre settimane, alle Canarie, alle Azzorre, su navi condotte da loro. Sono i regimi autoritari che istituiscono feste del lavoro, che fanno comprendere la sua dignità all’operaio. Ecco perché loro vengono da noi”.

E poi si mette a ridere, spesso, con quella giovinezza che non l’abbandona mai.

“Ah, i comunisti sono furiosi! Non possono più organizzare riunioni, sono obbligati a portare la contraddizione nelle nostre. La bandiera rossa? È la nostra bandiera! Il Fronte popolare? Non ce n’è che uno in Belgio, il ‘Fronte popolare Rex’. L’Internazionale? Noi la cantiamo con altre parole. Gli scioperi? Noi rivendichiamo tutto ciò che chiedono gli operai. Sto per consegnare una proposta di legge per l’aumento dei salari del 10%. Solamente, niente demagogia: bisogna allo stesso tempo depositare una proposta per aumentare gli incassi della stessa cifra”.

brasillach 2Divenuto più serio, aggiunge:

“L’importante è lo spirito con cui si fanno le cose. Dopo una catastrofe nelle nostre miniere, il re Alberto ha chiesto a un operaio: ‘Cosa volete?’. E l’operaio ha risposto: ‘Vogliamo che ci si rispetti’. Ecco l’essenziale. Ecco ciò che non comprendono i partiti di destra, né da noi né da voi”.

Léon Degrelle si è messo a camminare nel suo ufficio. Ha una sorta di collera contro tutta questa incomprensione degli uomini di destra, degli uomini di sinistra, tutte queste vecchie formule, tutto ciò che irrita, all’interno di ogni frontiera, allo stesso tempo, tanti giovani.
Mi spiega i suoi progetti alla rinfusa, in cui si sposano così curiosamente il corporativismo moderno e i principi cristiani. Vuole creare un servizio sociale per le donne, inviare ai malati le giovani ragazze borghesi, far amare il loro lavoro a tutti coloro che lavorano. E forse, su certi principi economici, degli specialisti avrebbero qualcosa da obbiettare […].

E poi la Rivoluzione di Léon Degrelle è una Rivoluzione morale. Non ce n’è di altro tipo, Léon Degrelle vuole rianimare gli alti sentimenti, l’amore per il re, l’amore per la nazione, aiutare le famiglie, portare la felicità sulla terra, per quel che si può. È a questo che lavora. È ciò che fanno Mussolini o Salazar. Non ci si stupisca se egli solleva attorno a sé tante speranze e anche tanto odio.

[…]

Non so ciò che farà Léon Degrelle, e non sono profeta come il signor Blum. Ma credetemi, cara Angèle, è abbastanza commovente fermarsi sulla soglia di qualche cosa che sta cominciando, che è ancora minacciato da tanti pericoli, osservare una speranza che comincia a germinare e, anche se noi non dovremo amarne tutto nel futuro, finire per invidiarlo.

Robert Brasillach

Je suis partout, 20 giugno 1936

 

 

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