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Meluzzi ci racconta l'”Attacco alla famiglia”: “L’abominio progressista sta vincendo, ma il male non prevarrà”

by Cristina Gauri
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Roma, 5 ott – La famiglia è sotto attacco? La risposta non può che essere affermativa. I casi di cronaca – dal Forteto a Bibbiano – dimostrano chiaramente come il germe di un pensiero anti-familiare si sia ormai innervato nel cuore della società, fino a ghermire i suoi stessi figli. Un veleno che affonda le proprie radici in certo pensiero post-moderno progressista e che oggi si fonde con studi di genere, rivendicazioni Lgbt sempre più spinte in avanti, politiche sempre meno sociali e sempre più ideologiche. Ma se la risposta al quesito è tutto sommato scontata, e sotto gli occhi di tutti, la ricerca capillare delle motivazioni che hanno portato a questo stato di cose è molto più complessa: ed è quella che ci propone il professor Alessandro Meluzzi, con un’analisi impietosa ma scientifica nel volume Attacco alla famiglia (Altaforte edizioni, 2020, con prefazione di Diego Fusaro, qui il link per la prevendita).

Meluzzi compone un quadro analitico, puntuale, minuzioso della situazione: affonda, con piglio accademico, la penna in quel coacervo concettuale che ha reso possibile la disgregazione dei valori fondanti della famiglia naturale, un tempo elemento essenziale su cui poggiava qualunque società e che ha consentito l’evolversi della civiltà; oggi, al contrario, condannata e additata come il male assoluto, vista come il vessillo di fantomatiche «concezioni medievali» che mal si sposano con l’idea disgregativa progressista. Un viaggio nella caduta della famiglia e nella dissoluzione dell’identità, attaccate dal progressismo e dal marxismo culturale, dai dogmi del politicamente corretto e dagli alfieri del gender. Lo abbiamo intervistato per sentire dalla sua viva voce lo stato delle cose e per parlare della sua ultima fatica.

Un aspetto saliente della degenerazione odierna risiede senza dubbio, come lei mette ben in luce, nella decostruzione dei valori e soprattutto delle identità. E’ possibile secondo lei riprendere il filo del «sano nazionalismo» che lei evoca in chiave positiva proprio per rinvigorire l’identità?
«Come dice Manzoni, nella sua poesia Marzo 1821, “Una d’arme, di lingua e d’altare, di memorie, di sangue e di cor”. Unita nelle armi, nella lingua, nella religione, nelle tradizioni, nella stirpe e nel sentimento. Una nazione è una entità che lega degli esseri umani, le famiglie, i figli, tra di loro, in un patto che include i simboli, la religione, gli interessi, la difesa del linguaggio e delle parole. È chiaro se un popolo non ha nazione e se uno Stato non ha nazione, rischia di dissolversi nella totale entropia. Quindi direi che c’è un ottima ragione per cui gli italiani devono riscoprire e difendere i valori nella loro nazionalità: il rischio ormai più che concreto di dissolversi nel nulla». 

Nel testo lei è molto critico nei confronti di una Chiesa che, dimentica del suo messaggio e della sua stessa funzione, sembra remare nella stessa direzione del politicamente corretto. Descrive un certo cattocomunismo, infatti, come vero nemico. C’è speranza di salvezza per questa Chiesa?
«La risposta sacramentale è . Una Chiesa fondata da Gesù e dal suo corpo mistico è destinata ad essere il traghetto della salvezza. Se invece parliamo della sua forma storica e in questo pontificato, assolutamente no. perché è evidentemente posseduta da energie, strategie e orientamenti opposti alla Verità e al bene. È successo altre volte nella storia della Chiesa. Penso, ad esempio, al tempo di Papa Borgia e Bonifacio VIII, ma credo che neanche allora lo Spirito Santo abbia cessato di proteggere la sua Chiesa».

Nel suo libro dedica ampio spazio a vicende agghiaccianti come il Forteto e Bibbiano, modelli di annichilimento della famiglia naturale, generato da una visione progressista e da intrecci di convenienze, spesso anche economiche. Cosa bisognerebbe fare per combattere davvero questo «modello» e mettere al sicuro i bambini?
«Bisogna denunciare le aberrazioni, colpire coloro che nascondono i loro porci comodi dietro i grandi interessi e le grandi ideologie. Bisogna colpire duramente le burocrazie cieche, sorde e spesso conniventi. Si deve tendenzialmente cercare di lasciare i bambini nelle loro famiglie. Posso citare, come esempio virtuoso, l’ottima attività dell’assessore Caucino della Regione Piemonte con la quale sto collaborando per combattere le Bibbiano e i Forteto ma anche la tendenza a togliere i figli al primo segno di crisi per metterle in costose case famiglia. La giunta di centrodestra di Alberto Cirio ha approvato un disegno di legge sugli affidi, molto criticato dalla sinistra. In esso è contenuta una norma chiamata “Allontanamento zero” che prevede che il 40% degli oltre 55 milioni destinati al sistema infanzia in Piemonte venga dirottato dai servizi sociali sulle famiglie. Non solo: la legge prevede “interventi di sostegno alla genitorialità” in sostituzione agli inserimenti nelle strutture ad hoc e sancisce il divieto di “allontanamento di un minore per indigenza del nucleo familiare”. C’è solo da rimboccarsi le maniche e armarsi di volontà».

In una società in cui fare insegnante e professore spesso è divenuto sinonimo di «comodo posto fisso», è evidente che, a catena, vengono meno il principio di autorità e il senso profondo dell’educazione. Proprio all’educazione lei dedica un suggestivo capitolo. Cosa dobbiamo intendere, davvero, per educare, oggi?
«Educare vuol dire portare fuori quel tanto di verità che c’è dentro ciascuno e come un profeta portare chi si educa verso una terra promessa, attraversando il deserto, se è necessario, per dare una prospettiva di senso e di speranza rivolta alla vita e al suo crescere. Poi c’è un fatto: da punto di vista quantitativo, credo che la battaglia educativa sia perduta. Le forze che hanno imposto il pensiero unico che si sta attualmente cibando delle menti dei più giovani sono talmente gigantesche, soverchianti e pervasive che combattere nei numeri e nelle maggioranze sperando di vincere sarà impossibile. Però non dobbiamo disperare, dobbiamo avere la forza di costituire tanti piccoli presidi culturali atti a preservare la verità. Le forze del male non prevarranno».

Lei dedica, verso la fine del libro, alcune belle pagine a un concetto evoluto di «famiglia sovrana» come entità felice, realizzata, naturale, ampliando e ricontestualizzando il concetto stesso di sovranismo. Non crede che forse i partiti politici ora all’opposizione dovrebbero dedicarsi a comprendere questo senso profondo di sovranismo per come lo delinea lei e lasciar da parte certe derive magari popolari ma spesso trash?
«I partiti, purtroppo per loro, devono fare i grandi numeri; un po’ come vale per il marketing, devono talvolta abbassare il profilo per poter includere profili più ampi. Però questo non significa che non debbano esistere delle elite che preservano questi semi di verità per un tempo nel quale – anche qualora la battaglia nel breve e nel medio periodo fosse perduta – consentiranno a una nuova umanità di rifondarsi non appena questa catastrofe imminente, che ormai incombe su tutte le cose, sarà conclusa. Credo soprattutto che il potere di questo immenso mondo finanziario, pseudo tecnico-scientifico, mainstream sia talmente potente che invertire la rotta sia impossibile. Il tempo dell’abominio incombe, quello previsto dal libro dell’Apocalisse; non dico che ci si debba rassegnare, ma si deve sapere che continueranno le migrazioni, dissolveranno la famiglia, imporranno il gender, dopo di ché non sarà la fine dell’umanità: sarà la fine di questa umanità. Chi ne sarà testimone dovrà ripartire da lì».

Cristina Gauri

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