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Natale di Roma: la “città degli Dei” compie 2770 anni

by La Redazione
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Roma città degli DeiRoma, 21 apr – “Allora il padre parla al figlio con parole amiche: ‘A ciascuno è fissato il suo giorno, breve e irreparabile tempo per tutti è la vita; ma estendere la fama con le imprese, questo è il compito del valore‘” (Virgilio, Eneide, X, 466 – 469). Nel giorno del Natale di Roma, nel giorno in cui tante associazioni, tante libere personalità si recheranno a Roma e renderanno omaggio alla nascita di quella che serenamente possiamo definire essere stata la più grande civiltà della storia, per potenza militare, per profondità religiosa, per potestà del proprio ordinamento giuridico, per bellezza del patrimonio artistico e civile, ci permettiamo di non adagiarci nella solita e spesso retorica commemorazione storicistica, ma, al contrario, di proporre ai lettori de Il Primato Nazionale un ragionamento su ciò che è inerente l’Aeternitas Romae, cioè sulla sua essenza atemporale, poco legata al culto della polvere e delle ceneri. Tale data – è giusto rammentarlo – è stata indicata da Lucio Taruzio, astrologo di estrazione pitagorica, molto amico di Varrone (i riferimenti sono indicati nelle Vite Parallele, Romolo, di Plutarco), che in verità indicò la data anteriore del 9 Aprile, in cui si sarebbe verificata un’eclisse di Sole. L’ambito essenziale della Romanità deve, pertanto, essere assolutamente espunto da una dimensione temporale o storicistica, ma essere assunta sub specie interioritatis, in un’ottica di perennità trascendente e simbolica del dato empirico o archeologico. D’altronde, lo stesso Tito Livio nella praefatio di “Ab Urbe condita” (I, 7), con la famosa espressione “nec adfirmare nec refellere”, altro non esprime che l’impossibilità di consegnare il tramando tradizionale romano ad una sterile ambivalenza tra catalogazione temporale e annichilimento mitico o fantastico.

La componente vivente di tale tradizione, allora, può essere ricollegata a due interpretazioni, che non si negano vicendevolmente, ma che si completano organicamente. In primis, vi è quella prettamente evoliana (Rivolta contro il mondo moderno, parte seconda, 9 capitolo, sezione b “il ciclo romano”), in cui la civiltà romana, sorta in piena età oscura quale forma eroica di restaurazione primordiale, esprime il suo apice nella costituzione di uno Stato e nella personalità del suo primo Imperator, Augusto, in cui rivive ontologicamente l’autorità spirituale di Apollo – Sole, cioè l’idea di un’ecumene universale (non universalistica, intesa cattolicamente o modernamente: illuminante Arturo Reghini in proposito): “una fides superiore, legata appunto al principio sovrannaturale incarnato dall’Imperatore o dal genio dell’Imperatore e simboleggiato altresì dalla Victoria come quell’ente mistico, rivolgendosi alla cui statua il Senato giurava fedeltà”. Poi, vi è l’interpretazione filosofica, che tramite il “De re publica” di Cicerone ci conduce direttamente alla concezione platonica dello Stato, indi intendendo l’intera storia di Roma come una manifestazione terrena e tangibile della Civitas Dei, un’incarnazione vera e propria del principio uranico, che andrebbe a farci interpretare ancora con più consapevolezza le successive parole di Tito Livio: “Sia concessa questa scusa all’antichità, di rendere, mescolando le vicende umane a quelle degli dei, più sacri gli inizi delle città; e se a qualche popolo è giusto concedere di rendere sacre le proprie origini e di rimandare agli dei come capostipiti, il popolo romano ha una tale gloria di guerra che, innalzando il potentissimo Marte a padre suo e del suo fondatore, i popoli della terra sopportano pazientemente anche questa convinzione tanto quanto ne sopportano il dominio “ (Ab Urbe condita, I, 8).

L’Aeternitas Romae, pertanto, può essere intesa come l’espressione di una visione del mondo non crepuscolare, poco incline al neospiritualismo neopagano, all’accademismo massonico o alla vulgata di un certo ed ambiguo cattolicesimo tradizionalista, ma come una schietta, libera e magica adesione virile ad una filosofia delle vette, quelle interne, quelle interiori, che si realizza concependo l’aggettivo “romano” non come una determinazione di una forma storica o pseudo-religiosa, ma come una qualità dello spirito, come una scelta di campo, attuale, nel presente, nelle piazze, nelle scuole, nel proprio lavoro, nell’educazione dei propri figli. L’idea di Roma è l’idea che il suo Natale possa essere vissuto ritualmente, cioè riattualizzato in attualità e cogenza, ogni giorno, ad ogni nuova alba che si consacra e si saluta, quali combattenti dello spirito, quali appartenenti ad un Fronte a cui non serve la cerimonialità mal compresa e frammentaria del tempo che fu, ma che vive e rende perennemente attuale una visione che non appartiene al tempo, non appartiene neanche agli Dei o ai singoli uomini, ma è di esclusiva pertinenza di coloro che tramite la lotta sotto le insegne di Marte ed il Sacro, sotto la tutela di Giano e Minerva, possano essere Uomini che vivono e muoiono come Dei, come l’Aquila Mithriaca che sola può guardare fissa il Sole. Tutto ciò è stato già realizzato, è stato già simbolicamente indicato. Non casuale, infatti, è la doppia interpretazione che si assegna al Sulcus Primigenius, quadrato o circolare, ma come ci indicano attenti studiosi come Kerenyi (La religione antica nelle sue linee fondamentali), Casalino (Il nome segreto di Roma) e Baistrocchi (Arcana Urbis), quadrato e circolare allo stesso tempo, quadrato come il solco segnato da Romolo, circolare come l’aedes di Vesta, vero centro dell’Urbe, secondo le ultime scoperte archeologiche di Andrea Carandini (Il Fuoco Sacro di Roma). L’unione dei due simboli è, quindi, il mandala orientale, ermeticamente la famosa “quadratura del cerchio”, la fissazione, la realizzazione in terra della dimensione sovrasensibile, la manifestazione degli Dei nella storia, Roma come Città degli Dei, la tradizione romana quale viatico sapienziale per la rimanifestazione del Nume dentro di sé, così come prescritto dall’Oracolo di Delfi, lo stesso oracolo che consentì a Marco Furio Camillo, “secondo fondatore di Roma”, di conquistare Veio, dopo un prodigio sul lago di Albano. Si palesa la concezione misterica dello specchio, della realtà fenomenica quale riflesso anagogico della realtà numenica, in cui Simboli, Deità, la stessa Storia sono gli strumenti dell’Arte, gli alambicchi dell’Opera che intende risvegliare uno stato di coscienza preciso, appunto quello del “Romano”, quale Ente che si incarna in una maieutica di stabilità interiore, di catarsi, di Vittoria: “Con potenza vi comando al cospetto di questo sole, per Giove altitonante e per tutti gli altri Dei che puniranno la vostra infingardaggine e il vostro indugio. Credete che gli Dei non si curino di questo? Ecco le lettere sacre agli Dei…Queste sono le cerimonie con cui crediamo di poter mutare le leggi stesse della natura…” (Giordano Bruno, Cantus Circaeus, N 193, Opere Mnemotecniche).

Il Natale di Roma possiamo allora concepirlo non come una mera data commemorativa di un passato seppur glorioso, ma un luogo dell’anima appartenente a quell’ “illo tempore”, di cui ha scritto spesso un Eliade, in cui il tempo cede il passo all’Eterno, la storia alla Metafisica, in cui saper ritrovare il Centro: “Ricordate sempre che l’Italia è stata riconquistata e costituita dalla fede di generazioni e di secoli, e che l’imperio del pensiero latino, italico e romano sarà rinnovato, e l’aquila dell’Urbe volerà sul mondo per la fede di tutti noi nel destino e nella missione della nuova civiltà antibarbara, nel Sole fulgido della nostra razza sempre viva e giovane “ (Giuliano Kremmerz). L’idea della sua eternità si assume come continuo superamento del limite naturalistico da cui sorse, è l’espansione ab aeterno del Limes, come ci rammenta l’antropologo Maurizio Bettini in “Con i Romani”, divenendo l’Urbs Orbs, la Città Mondo, Roma Idea Universale Imperitura: è lo sviluppo palingenetico dei Numi Arcani dell’Urbe, che anagogicamente si identificano per ascesa all’Uno del Tutto, che è la Potenza inespressa prima di Giove, prima di Giano, il cerchio universo di Luce che è Axis Mundi nel Pantheon. Roma, quindi, è Libertà, Roma è Orbs, Roma è Mondo. Roma non è superstizione, non è ignoranza, non è ipertrofia dell’ego. Roma è la costante pratica della Modestia. Roma è Virtù ed Etica. Roma è Vittoria ermetica e trasmutazione del Ferro in Oro. Roma è, infine, secondo l’insegnamento di Elio Aristide, un’entità spirituale che la retorica, l’eloquio non possono che sminuire nella sua radicale essenza, nella vivente perennità: “Cantando le lodi dell’Urbe, oggi e sempre, tutti sminuiscono più che se tacessero, perché col silenzio non la si può far diventare né maggiore né minore di quella che è, e la conoscenza ne resta inalterata, mentre i discorsi raggiungono lo scopo contrario di quello prefisso: con tutte le loro lodi, non riescono a dare un’idea adeguata di quello che ammirano” (In Gloria di Roma).

Luca Valentini

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