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Non c’è pace al Secolo d’Italia: de Angelis lascia la direzione

by La Redazione
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de-angelis-2Roma, 20 nov – Marcello de Angelis lascia la direzione del Secolo d’Italia. Il celebre quotidiano – fondato nel 1952 da reduci della Rsi e diventato il quotidiano ufficiale del Movimento sociale italiano e poi di Alleanza nazionale – ha cessato le pubblicazioni cartacee nel dicembre 2012 per diventare una testata on line.

De Angelis, nome noto della destra capitolina sin dai tempi della sua militanza in Terza Posizione e poi per il suo percorso istituzionale in Alleanza nazionale prima e nel Pdl poi, aveva preso le redini del quotidiano dopo “l’interregno” seguito alla rottura fra l’amministrazione del giornale e l’ex direttrice e parlamentare di Fli Flavia Perina.

In un articolo di saluto ai lettori, de Angelis ha spiegato i motivi del suo addio: “Come è a tutti noto, il nostro mondo non ha avuto vita tranquilla e serena e le divergenze di percorso, i mutamenti di prospettiva si sono moltiplicati e hanno reso sempre più plurale e diversificato l’insieme di persone che il Secolo avrebbe dovuto rappresentare e a cui avrebbe dovuto dare voce. Il che ha reso per me impossibile dare una linea coerente al giornale […]. Oggi le mie posizioni non sono in sintonia con quelle della maggioranza dei soggetti politici di cui il Secolo dovrebbe essere l’organo di stampa. Credo sia professionalmente giusto e coerente che quindi sia qualcun altro a occuparsene”.

E in effetti, l’implosione del centrodestra fra Fratelli d’Italia, nuova Alleanza nazionale, nuova Forza Italia, Nuovo centrodestra causa un notevole disorientamento fra chi questo mondo lo deve raccontare e ancor più fra quella parte di italiani – parte peraltro maggioritaria nel paese – che si riconosce come “alternativa alla sinistra” (qualsiasi cosa ciò voglia dire: molto, sul piano sociologico e anche “sentimentale, quasi nulla sul piano realmente politico).

Il caso Secolo d’Italia resta peraltro emblematico della generale incapacità di un certo mondo di saper utilizzare gli strumenti culturali in forma eminentemente politica, cioè come mattoni per costruire un progetto. Di fatto, un giornale che rappresentava comunque una tribuna riconosciuta, una struttura lavorativa consolidata, un patrimonio simbolico di grande impatto è stato portato sull’orlo del baratro da una serie di amministrazioni indifferenti a tutto ciò che non fossero le beghe correntizie.

Quando, sotto la direzione di Flavia Perina, il Secolo tirò la volata a Gianfranco Fini nella sua rottura con Berlusconi, improvvisamente tutti si ricordarono di questo giornale: i finiani (o meglio, una parte di essi, di cui forse però lo stesso Fini non faceva parte) ne compresero le potenzialità ai fini di veicolare messaggi politici contro un avversario dotato di un arsenale mediatico senza pari; i berlusconiani si ricordarono improvvisamente che esisteva una cosa chiamata Secolo d’Italia e che questo assolutamente doveva tornare nelle mani della “vera destra” (etichetta sotto la quale potevano rientrare sia Fli che il Pdl oppure nessuno dei due, sicuramente non uno sì e l’altro no).

Insomma, più che una risorsa culturale, la destra ha sempre e solo saputo concepire le strutture editoriali come un terreno da occupare, più per dispetto ai nemici interni che per reale convinzione. Una volta occupato, che muoia pure. Salvo poi lamentarsi – dopo un ventennio di potere quasi assoluto e quasi ininterrotto – dell’egemonia culturale della sinistra.

 Giuliano Lebelli

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