Roma, 28 mar – Sono passati otto anni dalla morte del cantautore e paroliere romano Franco Califano. La sua scomparsa ha lasciato un grande posto vuoto nel panorama del pop italiano, che ha perduto un importante autore musicale. Di Califano però non ricordiamo soltanto i testi e la musica ma anche il suo stile di vita ribelle e la fama di donnaiolo, che gli hanno procurato la simpatia del pubblico e una certa credibilità riguardo ai suoi testi. In particolare quelli che parlano d’amore.
Da poeta a paroliere
Il percorso artistico di Califano è turbolento e travagliato. Dopo essersi fatto espellere da un collegio e aver terminato a fatica le scuole dell’obbligo, durante l’adolescenza si iscrive ad un corso serale di ragioneria: dedito alla vita notturna, non riusciva a frequentare i corsi mattutini. Comincia a scrivere poesie, ma abbandona l’attività resosi conto che non gli avrebbe fruttato i guadagni sperati, decidendo di dedicarsi al mondo della canzone.
La sua prima esperienza musicale è da cantante nei night club, incarico che lascia poco dopo preferendo farsi conoscere come paroliere. Riprendendo la professione di cantante in un secondo momento. Il primo successo da paroliere arriva con il testo di E la chiamano estate, scritta assieme a Laura Zanin per il cantante e pianista jazz Bruno Martino, che la presenta al Festival delle Rose nel 1965. La canzone diventa una delle più celebri del repertorio di Bruno Martino, che la eseguirà spesso nella sua carriera.
Minuetto: la consacrazione di Califano
Nel 1973 scrive per Mia Martini il testo di Minuetto, su musica di Dario Baldan Bembo. Il brano, magistralmente cantato dalla Martini diventa da lì a poco uno dei suoi cavalli di battaglia, facendole ottenere un disco d’oro, uno di platino e vincere il Festivalbar nello stesso anno. Sempre nel 1973 scrive, sugli splendidi arrangiamenti di Carlo Pes e Pino Presti, i testi dell’album di Mina Amanti di valore. Le liriche di Califano si rivelano essere particolarmente azzeccate per l’atmosfera notturna e gli arrangiamenti “spaziosi” e “d’ambiente” del disco, composto per la maggior parte da pezzi lenti e malinconici. L’album è incentrato per la maggior parte sui temi dell’amore e del sesso. Le liriche di Califano colpiscono per la schiettezza e infrangono i tabù dell’epoca ma il disco riscuote grande successo verso la critica musicale.
Una voce calda e roca
Sebbene non dotato di una grandissima voce (egli stesso l’aveva definita come “roca” e “scassata”), non mancano sue performance degne di nota. Se in molti lo ricordano per le canzoni pop come Tutto il resto è noia, non ha respinto sonorità vicine al jazz, come nella versione del 1982 di E la chiamano estate, dall’album Califano in concerto. Il pezzo comincia con una breve introduzione nella quale spiccano i cromatismi discendenti (sulle note mi-mib-re, re-reb-do) del sassofono. L’introduzione si chiude su un accordo di Reb, sul quale entra Califano con le parole “e la chiamano estate” e subito riparte la band. La voce calda e roca del cantante e la corposa sonorità fusion del gruppo di accompagnamento si amalgamano bene tra di loro. Rendendo il pezzo particolarmente riuscito.
Un’altra bella versione del brano è quella eseguita negli studi di Rai Uno alla fine degli anni Duemila, assieme al trombettista jazz Fabrizio Bosso. Questa volta il pezzo viene rallentato e presentato in chiave latineggiante. La voce di Califano (ormai sulla settantina), è senza ombra di dubbio più stanca e meno potente, ma i limiti della vecchiaia vengono compensati dai bei fraseggi e dal virtuosismo tecnico di Bosso, oltre che dal buon gruppo di accompagnamento. L’esecuzione del pezzo rimane comunque una delle più belle della sua carriera e un bel ricordo per i fan dopo la sua scomparsa.
1 commento
Quando penso a F.Califano penso anche a F.Turatello: un grazie a quest’ultimo anche da un camerata che non vuole dimenticare mai.