Roma, 25 apr – Il 25 aprile è una data che fa sempre discutere e infiammare gli animi. La lievitazione dell’odio è aumentata negli ultimi anni, dopo la scomparsa di quasi tutti i protagonisti. Quelli che hanno combattuto dopo la fine della guerra riposano al cimitero e i reduci sono davvero pochi. Da quel triste periodo sono passati settantacinque anni ma in ogni anniversario si ricordano solo i partigiani, con manifestazioni in gran parte dell’Italia, e la partecipazione di politici, che ogni anno ripetono lo stesso discorso. Il capo dello Stato si rivolge ai partigiani, definendoli patrioti, dall’altra parte quelli che hanno scelto di restituire l’onore all’Italia sono difesi da pochi intellettuali. Una profonda divisione a cui ormai siamo abituati.
Quella corona d’alloro all’Altare della Patria
Il 25 aprile tra Pansa e Pisanò
Quest’anno mancheranno sui giornali le parole di un uomo come Giampaolo Pansa, la cui voce, spesso contestata, contribuì a far luce su tanti avvenimenti tragici in cui sono stati protagonisti i partigiani e forse anch’esso ha avuto l’obiettivo di bilanciare la memoria di quel periodo scritta a senso unico al fine di far maturare la coscienza storica di un popolo.
Un altro grande storico che dedicò tutta la sua vita a raccogliere le storie dei vinti, è stato Giorgio Pisanò, che ci ha lasciati nel 1997 ma la cui opera monumentale rimane scritta in corpose pagine di sofferenza e di sangue versato dai vinti. In un suo articolo pubblicato nel 1975 sul Candido, fondato da quel galantuomo di Giovannino Guareschi, dedicò un appello alla pacificazione: “25 aprile: ricordiamo insieme i fascisti e i partigiani caduti trent’anni or sono. Morirono tutti nella speranza di una Italia migliore“. Nel Candido di cui era direttore pubblicò i nomi e le storie di alcuni fascisti e di partigiani.
Le parole di Giorgio Pisanò meritano d’essere trascritte almeno in parte: “Cade in questi giorni il trentennale del 25 aprile: una ricorrenza tragica in un momento particolarmente tragico del nostro Paese. Qualcuno forse si attendeva che il nostro giornale ricordasse questa data rievocando atrocità di parte e documentando ancora una volta il sangue così abbondantemente sparso in quei giorni, i massacri, le inaudite violenze perpetrate contro quegli Italiani che, fedeli ad un principio di onore, erano rimasti schierati con Mussolini nei ranghi della Repubblica Sociale Italiana. Noi, invece, non risponderemo all’odio antifascista seminando altro odio. Noi intendiamo ricordare il 25 aprile con un atto di amore e di devozione verso tutti coloro che, sull’ una o sull’altra barricata, seppero combattere e morire, ognuno nella certezza di aver servito fino in fondo la Patria Italiana e i suoi Ideali”.
Questa sua presa di posizione fu oggetto di varie critiche, sia da “destra” che da “sinistra”, la sede del giornale subì anche degli attentati. Tanti italiani in quei tempi gli furono vicini, perché non dimenticavano il suo coraggio nel difendere le proprie idee. Per capire questa sua posizione si dovrebbe leggere con attenzione cosa gli accadde un giorno, mentre stava compiendo alcune ricerche. Ne parlò il quotidiano Avvenire, non certo un giornale vicino alla destra, attraverso Andrea Galli con un articolo titolato “E Pisanò, il fascista che indagò sui delitti rossi, “abbracciò” la madre del partigiano ucciso”. L’articolo fu pubblicato il 17 ottobre 2007, riporta una foto del direttore del Candido e inizia con una citazione dello stesso Pisanò: “Conosco bene questa sofferenza (il dolore dei vinti, ndr). E’ anche la mia. Sul suo calore ardente ho bruciato gli anni della giovinezza, i più belli della mia vita. E per lenirla, per placarla, ho continuato a combattere una mia “guerra privata”… Mentre l’Italia ufficiale celebrava nella fazione “le glorie” di una spaventosa lotta tra fratelli, io denunciavo “gli eroi” documentavo delle verità atroci e nessuno fu mai in grado di chiudermi la bocca, di smentirmi”. Anche queste parole danno il senso della forza delle sue idee: era una persona che aveva fatto del coraggio la sua bandiera. La suindicata citazione era stata scritta nella prefazione al suo libro La generazione che non si è arresa, poi ripubblicato con il titolo Io fascista.
Giampaolo Pansa riporta, nella prefazione al suo libro La grande bugia, questo episodio vissuto da Pisanò durante le sue ricerche sulla guerra civile: “La mia sofferenza cominciò a placarsi solo quando, un giorno che ricordo molto bene, incontrai la sofferenza degli “altri”. Accadde nel Biellese. Ero sulle tracce di un partigiano che aveva “fatto fuori” due dei miei. Volevo incontrarlo, strappargli qualche ammissione e denunciare anche lui, come tanti altri. Raggiunsi così un paesino di montagna e finii in una casa colonica abitata da una donna anziana. Era la madre del partigiano che cercavo. Seppi così che stavo cercando un morto. Catturato negli ultimi giorni di guerra dalla Guardia Repubblicana, era stato subito fucilato. (…) mi disse la donna “(mio figlio ndr) era stato in Africa, volontario. Era un buon italiano”. Avrei voluto risponderle che, secondo me, i buoni italiani non erano andati con i partigiani, ma con la Repubblica. (…) Mi raccontò di suo figlio, che era un bravo figlio. Mi disse che dopo l’8 settembre era rimasto a casa. Poi i primi partigiani erano giunti nella zona e i tedeschi e i fascisti si erano messi a rastrellare. Lui, allora, per non farsi prendere era scappato in montagna e si era unito alle bande. Una brutta sera gliel’avevano ucciso. (…) c’era una verità più profonda da scoprire, una verità che mi sembrava di intuire confusamente e che dovevo raggiungere ad ogni costo perché la sorte di quel ragazzo, le lacrime di quella madre, il dolore degli” altri”, in definitiva, erano identici alla sorte toccata a tanti dei miei camerati, alle lacrime di tante nostre donne, al nostro dolore”. Il toccare con mano il dolore della parte avversa e la ricerca della verità scavando anche nel loro mondo umano avversa gli fece assumere questa posizione di rappacificazione. Pansa lo definì “Giornalista coi canini sulla notizia per mezzo secolo e uomo d’onore d’altri tempi”. Giorgio Pisanò manca a quelli che, grazie a lui, hanno potuto dare un volto e una storia a tanti delitti insoluti. Il coraggio di battersi per onorare le vittime da entrambe le parti non deve mai venire meno.
Rinnovare l’odio e l’antifascismo crea solo male e non contribuisce alla ricerca della verità. Ci domandiamo: verrà il giorno in cui chi da un lato e chi dall’altro potrà andare nei cimiteri a onorare i propri morti senza polemiche e attacchi nei confronti dei sostenitori della parte sconfitta? Emilio Isgrò disse: “La vera memoria resiste all’inchiostro e al tempo”.
Emilio Del Bel Belluz
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Complimenti all’ autore per l’articolo commovente.E’ un odio che tuttora non ci fà andare avanti come paese, sopratutto per le strumentalizzazioni fatte dalle sinistre e dai media e burattini vari dei banchieri occulti stranieri.Questi hanno sempre avuto in odio movimenti nazionalistici che gli toglievano l’eslusiva di battere moneta in forma privata.Quando Mussolini nazionalizzo’ la Banca d’Italia(poi svenduta nel 1992) e fece le banche pubbliche togliendo ai poteri bancari stranieri la moneta nel 1935, ci fecero subito le sanzioni con cui ci fermavano e svuotavano spesso le navi in mezzo al mare.La scusa ufficiale delle sanzioni era la guerra d’etiopia.Questi poteri fecero di tutto per isolare l’Italia e metterci in una situazione che ci portasse ad una guerra che sapevano di vincere
Purtroppo la guerra civile è andata avanti ben oltre, permangono i rischi ancora oggi ed è inutile negarlo. Le ingiustizie e i morti fanno la storia. Su questa storia qualcuno però gioca pesante al punto che quando “brigatisti rossi e neri”, hanno capito e si sono capiti, anche grazie a democratici in buona fede, non è bastato… Erano gli anni ’80!! Il nemico comune è quello che gioca sulla lotta di classe, sulla lotta tra sessi, sulla lotta tra generazioni, sulla lotta tra popoli-culture-tradizioni, sulla lotta tra pubblico e privato, sulle patologie…, su tutto insomma. Dunque dobbiamo saperci schierare contro la malafede (e ignoranza!), innanzitutto, poi “discuteremo” sul resto.