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La Repubblica dei vinti: quel mezzo milione di italiani che combatterono “dalla parte sbagliata”

by Andrea Lombardi
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locandina di repubblica dei vinti

Roma, 9 ott – Nel 1997 il documentarista Sergio Tau, affiancato dal commento di Giano Accame, intellettuale di destra, e Claudio Pavone, storico di sinistra, presentava sulla Radio Rai il programma “Le voci dei vinti”, mandando in onda – cosa oggi difficilmente immaginabile nel clima attuale di politicamente corretto e di vera e propria censura – le voci di ben ottanta veterani della Rsi, dai volontari e richiamati di leva dell’Esercito Nazionale Repubblicano delle Divisioni San Marco e Monterosa ai Marò della Xa MAS, dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana ai miliziani delle Brigate Nere e delle SS italiane. Di seguito, dalle testimonianze riportate nel libro La Repubblica dei vinti, edito da Marsilio, che raccoglie le trascrizioni di queste interviste, il momento della “scelta” dopo l’8 settembre 1943 del Comandante del Reggimento Paracadutisti “Folgore” della RSI Edoardo Sala.

La testimonianza

L‘8 settembre 1943 ero capitano dei paracadutisti della “Nembo”. Il nostro reggimento, dopo la Sicilia dalla quale ci eravamo ritirati qualche giorno prima, era dislocato a Soveria Mannelli in Calabria. In quei giorni, dopo l’invasione angloamericana della Sicilia e poi della Calabria, si ebbe per radio la notizia dell’armistizio che era stato già fatto il 3 settembre, ma a noi era stato comunicato soltanto il giorno 8. Ci fu stupore e paura.

Si vedevano dei soldati che si toglievano le uniformi, uscivano dalle caserme con un fagotto, e se ne andavano; ufficiali che si toglievano i gradi; gente che cercava abiti civili. Queste scene mi convinsero che bisognava, in un certo senso, per lo meno salvare l’onore dell’Italia.

Ecco, ho detto Onore per la prima volta. Mi recai al comando di battaglione, chiesi del comandante del reggimento. Non era in sede. Trovai soltanto l’aiutante maggiore, capitano Luigi Manfredi.

Anche Manfredi era molto amareggiato e anzi, a un certo punto ebbe anche un momento di pianto, poi mi disse: “Ma io ho fatto il giuramento al re, e adesso non so. Tu, tu vuoi andare via, ma io non mi sento di venire con te perché voglio prima parlare col comandante quando rientra”. E allora io gli lasciai questo biglietto per il comandante:

“Signor maggiore, il nemico non deve avere le nostre armi e noi le portiamo in salvo perché alla Patria possono ancora servire. E la nostra vita anche.

Per l’onore d’Italia

Edoardo Sala 9 settembre 1943”

Questo biglietto che io ho lasciato al capitano Manfredi era veramente una voce del mio cuore. Io non potevo accettare l’idea, né farla accettare ai miei soldati, di abbandonare le nostre armi e darci prigionieri al nemico contro il quale stavamo combattendo.

I resti della divisione paracadutisti tedesca Ramcke che avrebbero dovuto sostenere le ultime forze italiane prima dell’invasione, avevano già deciso e ci avevano lasciato scegliere quello che volevamo fare: se andare su con loro o rimanere giù.

Questa è stata una cosa bella perché in altri posti i tedeschi avevano cercato di forzare la mano. Invece a noi ci hanno lasciato decidere.

Io mi sono ritirato nella tenda comando con tutti gli ufficiali, con tutti i comandanti di compagnia, i comandanti di plotone e anche molti sottufficiali anziani, e abbiamo parlato qualche minuto soltanto.

Io ho detto: “Cosa facciamo? Rimaniamo qua oppure continuiamo a combattere come avevamo cominciato fin dall’inizio della guerra?”.

Gli ufficiali hanno detto: “Noi dobbiamo continuare a combattere”. “Sono contento, perché questa è la mia stessa idea”, ho detto prima d’uscire. Così abbiamo deciso di non lasciare andare via da soli i tedeschi. Per la strada – era piovuto la sera prima – vidi due o tre negozi saccheggiati. Uno era un negozio di mercerie e c’erano per la strada nastri d’argento, d’oro, rossi, verdi, gialli e soprattutto un tricolore, che attraversava quasi tutta la strada. Io ne raccolsi un pezzo che era per terra, lo pulii un po’ con le mani e me lo attaccai al braccio perché non mi sembrava bello lasciar cadere o buttare via un pezzo di tricolore. Questo poi divenne il simbolo della nostra ribellione.

Parlai per qualche minuto soltanto a tutto il battaglione riunito chiedendo se volevano aderire a questa mia proposta che ritenevo essere la più onorevole per un’unità militare di élite come erano i paracadutisti. Tutto il reggimento mi rispose di sì e fece un passo avanti.

Allora, presi gli accordi con i tedeschi che erano già sulla strada, ci incamminammo.

Quella frase: Per l’onore d’Italia, che avevo scritto al comandante prima di partire, la portammo al braccio sul tricolore listato a lutto. Sentivo che in quel momento, in quel giorno, in quella terra, si stava giocando una cosa importante, che sarebbe rimasta.

Oggi, a cinquant’anni da allora, devo dire che era veramente un momento storico e che io, involontariamente, sono entrato per il buco della serratura nella Storia.

Le testimonianze raccolte da Tau rappresentano un’opera di eccezionale valore storico nella pur numerosa produzione storiografica dedicata alla Rsi, aiutando a comprendere da una parte le motivazioni delle centinaia di migliaia di italiani e italiane che militarono nelle FFAA della Repubblica Sociale, e dall’altra superando la dicotomia “servi dei nazisti” tipica della vulgata antifascista – e del corollario “giovani illusi dal Fascismo”, in realtà altrettanto derisoria, in voga dopo il presunto sdoganamento dei “ragazzi di Salò” negli anni ’90 da parte della sinistra moderata rappresentata dal discorso alla Camera di Luciano Violante nel 1996 – e quella lettura da “Ultima raffica di Salò”, nostalgica e reducistica, altrettanto fuorviante.

Venerdì 11 ottobre, a Roma, in via Napoleone III n° 8, dalle ore 21.00 Sergio Tau illustrerà le figure e il contesto storico e ideale di questi combattenti e le vicissitudini del programma radiofonico e del libro da esso tratto.

locandina

Andrea Lombardi

* Grazie a Davide Brullo e Pangea.news

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