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I Ricercatori a tempo determinato e la stabilizzazione. La novità del TAR e della CGUE

by La Redazione
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Il ricorso al TAR per la stabilizzazione dei ricercatori dell’università apre una nuova pagina nel mondo della stabilizzazione dei precari della ricerca. Tutto parte da una ricercatrice precaria dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Ebbene, la ricercatrice aveva fatto ricorso contro la decisione dell’istituto, di bloccare la sua partecipazione al concorso per la stabilizzazione. Il TAR del Lazio ha rovesciato completamente tale decisione accogliendo il ricorso inoltrato dalla ricercatrice e reintegrandola nel concorso. L’INFN aveva sbagliato a calcolare la sua anzianità, dal momento che non aveva tenuto conto del periodo di lavoro in cui la donna ha ricevuto l’assegno di ricerca.

Il ricorso al TAR per la stabilizzazione dei ricercatori precari dell’università

Il caso di questa ricercatrice italiana è emblematico di come funzionino attualmente le cose in Italia in tale ambito. Ma prima una premessa: fino al 2010 in Italia i ricercatori erano assunti a Tempo Indeterminato. La legge Gelmini ha introdotto la figura dei Ricercatori a Tempo Determinato di Tipo A e di Tipo B. Ma in seguito alle pronunce dell’UE sull’illegittimità dell’utilizzo a oltranza dei contratti a tempo determinato nella Pubblica Amministrazione, nel 2015 il Parlamento ha approvato la Legge Madia sulla stabilizzazione dei precari. Uno dei requisiti per partecipare ai piani di stabilizzazione dei precari è l’aver prestato servizio per almeno tre anni nella pubblica amministrazione. Anche la ricercatrice che ha fatto ricorso per partecipare al concorso di stabilità aveva tre anni di servizio. Il requisito era interamente soddisfatto da parte della ricercatrice, che ne aveva trascorsi quattro presso lo stesso istituto.

Tuttavia la sua richiesta di partecipare al concorso per la stabilizzazione non era stata accolta. Il problema è che la ricercatrice aveva svolto le sue mansioni per tre anni con un normale assegno di ricerca e solamente uno con il contratto di ricercatore universitario a tempo determinato. In sostanza, per l’INFN, l’assegno di ricerca non faceva cumulo per il requisito dei tre anni. Il TAR del Lazio, invece, gli ha dato ragione e ha ribaltato la situazione.

La vittoria della ricercatrice nella lotta al precariato

Infatti, secondo la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, per il calcolo dei tre anni di servizio si possono considerare anche tutti quei lavori che sono stati portati a termine anche con gli assegni di ricerca e non soltanto con contratto di ricercatore universitario a tempo determinato.

Il TAR ha fatto leva sulla Circolare del Ministero per la Pubblica Amministrazione del 2017, che è stata realizzata proprio con l’intento di interpretare i nodi più ingarbugliati del Decreto Madia procedura stabilizzazioni del 2015.

Il fatto di essere un precario è una condizione molto diffusa e ben conosciuta nel settore della ricerca universitaria e della pubblica amministrazione in genere. Qualsiasi ricercatore universitario italiano si è scontrato con questo problema che riguarda l’occupazione e che da anni sta imperversando nel nostro Paese, soprattutto in merito agli assegni di ricerca e ai ricercatori di tipo A e di tipo B a tempo determinato. La stabilizzazione dei precari è uno di quegli argomenti caldi su cui per merito di alcune iniziative, tipi quelle dei ricercatori determinati, e di alcuni ricorsi inoltrati al Tar, si sono aperti spiragli importanti per la stabilizzazione della platea dei ricercatori che ha superato quella del personale docente stabilizzato in tutte le università italiane.

Ricorso al Tar per la procedura per la stabilizzazione dei ricercatori precari dell’Università

In realtà, la Legge Madia aveva previsto le procedure di stabilizzazione solo per i ricercatori precari degli ENTI di RICERCA, come l’INFN, escludendo quelli dell’università e mantenendo invariato il sistema di reclutamento dei ricercatori universitari.

Ma con il ricorso al Tar si sono aperti importanti spiragli anche per i Ricercatori a Tempo Determinato con contratto triennale. A questo riguardo, il consiglio che arriva dallo Studio Legale Internazionale Damiani&Damiani di Palermo è quello di verificare i principali requisiti necessari:

Requisiti per partecipare alla vertenza TAR Lazio per impugnare tutti gli atti emanati dalle Università che non consentono di accedere alla stabilizzazione del rapporto di lavoro

I principali consigli sono di affidarsi ad un bravo bravo avvocato amministrativista, di fare ricorso rispettando i requisiti previsti dalla Legge Madia, di avere un valido motivo ricordando che si può fare ricorso non solo per ottenere il contratto a tempo INDETERMINATO ma anche per il risarcimento del danno. Si può fare ricorso entro 60 giorni dalla data in cui è stato pubblicato l’atto che si ha intenzione di impugnare. In riferimento ai concorsi per il reclutamento dei ricercatori negli enti di ricerca, i tempi da rispettare sono sempre pari a 60 giorni ma a partire dalla data in cui sono state pubblicate le graduatorie. È importante sottolineare come siano compresi tutti i giorni e non solo quelli lavorativi. Nel momento in cui scade il giorno numero 60, il ricorrente deve avere già scritto l’atto di ricorso legale e averlo notificato alle parti. Il ricorso al TAR Lazio può essere avviato da parte di tre categorie di soggetti. Si tratta dei ricercatori a tempo determinato di tipo A con 36 mesi di contratto e soggetti a rinnovo, dei ricercatori a tempo determinato in attesa di rinnovo con 36 mesi di servizio e, infine, i ricercatori a tempo determinato che hanno un contratto di tre anni ancora in corso.

Come avviene il reclutamento ricercatori universitari?

Quando si parla di carriera universitaria si fa riferimento ad un gruppo di figure ben specifico riformato dalla Legge Gelmini e oggi oggetto di un disegno di legge per reintrodurre la figura del ricercatore universitario con contratto a tempo INDETERMINATO. Un insieme di ruoli a partire dal dottorato di ricerca, assegno di ricerca, ricercatore di Tipo A, ricercatore di Tipo B (con abilitazione ASN), professore associato, professore ordinario.

Sono essenzialmente due le tipologie di contratto legate ai ricercatori italiani, anche se poi, in pratica, entrambe le figure svolgono le medesime mansioni, anche quelle dell’insegnamento e della docenza.

Per invertire il trend del precariato nel settore universitario della ricerca e della didattica in forte crescita dalla riforma Gelmini del 2010, contrastato dalle nuove sentenze del Tar del Lazio e dall’orientamento della Corte di Giustizia Europea, l’attuale Governo sta lavorando su un disegno di Legge per la riforma del sistema di reclutamento del personale docente delle Università italiane. L’obiettivo è di reintrodurre la figura del Ricercatore Universitario a Tempo Indeterminato e riaprire l’accesso alla carriera universitaria stabile alla platea dei precari delle università. Proprio sulla base di questa necessità si basa il fondamento giuridico che apre la strada per la stabilizzazione dei ricercatori a tempo determinato di tipo A e di Tipo

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