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Richiamarsi al sacro per riscoprire il valore della spiritualità

by La Redazione
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il valore della spiritualità

Roma, 21 mar – Viviamo in un’epoca di profonde fratture tra ciò che è spirituale e ciò che è materiale. Tutto viene spostato verso il secondo termine, ridotto a mero oggetto. Nei rari casi in cui si parla di spiritualità la si confonde con una specie di culto delle emozioni o peggio dell’ego. Parlare di spiritualità, dando a questo termine una dimensione comunitaria e in grado di recuperare la trascendenza, è un gesto coraggioso. Questo è il caso di Marco Ausili e del suo Il valore della spiritualità. Ombre e luci nell’epoca della tecnica e del capitale (Giubilei Regnani, 2020, 90 p., 12 €).

La negazione della spiritualità a cui oggi assistiamo è contestuale a vari processi storico-politici che ne sono al tempo stesso una causa e una risultante, e che sono in buona sintesi “derive di un sistema politico ed economico da tempo orientato verso il liberal-liberismo”. Fenomeni come la globalizzazione, l’atomizzazione sociale, lo strapotere dei mercati e la reificazione dell’uomo intervengono sugli Stati come perdita di sovranità e parimenti sugli individui come perdita di spiritualità.

Il valore della spiritualità: richiamarsi al sacro

In questo senso, richiamarsi al sacro e alla spiritualità è qualcosa di più che una critica alla secolarizzazione ormai compiuta. È l’esigenza della riscoperta di un radicamento profondo per l’uomo. Radicamento che è al tempo stesso comunitario, identitario e religioso. Sotto questo punto di vista, ciò che è spirituale si inserisce in un contesto che potremmo dire politico o pre-politico. Siamo, dunque, molto lontani da una visione incapacitante della spiritualità intesa come evasione dal mondo. Qui la spiritualità è sì un modo per avere una conoscenza e un’esperienza del mondo autentiche. Ma anche per agire su di esso nel qui ed ora, nell’hic et nunc.

Per Ausili il recupero del valore della spiritualità si articola attraverso alcune direttrici principali. Punti nodali che dovremmo impegnarci a fare nostri, strappandoli dall’incomprensione e dal discredito in cui sono caduti nella società attuale.

Il primo è l’ignoto, messo in discussione dallo spirito di chiarità dello scientismo. Ma se “la realtà è definibile con esattezza e una volta per tutte nell’immediato” allora “non c’è spazio per il mistero, il simbolo, il senso ulteriore”.  In questo modo per ricercare la verità della materia si nega quello dello spirito.

Il secondo è l’eterno, la volontà di durata. La capacità dell’uomo di progettare un futuro e radicarsi in un passato, contrariamente alla nostra epoca che vive unicamente di un presente instabile, percario.

Per terzo abbiamo la misura, negata dall’abbondanza e dall’insensatezza delle merci. Una misura che si rende plastica fra la differenza di spazi economici, pieni del nulla, e spazi sacri, vuoti per permettere la presenza del divino.

Parola e silenzio

Abbiamo poi una riflessione sulla comunicazione e la natura del discorso, attraverso l’analisi di parola e silenzio. Forse ancora non siamo arrivati al punto della neolingua immaginata da Orwell, fatto sta che “la lingua attuale è più che mai piegata alle narrazioni predeterminate del sistema, allo storytelling dell’epoca della post-verità, per cui le parole perdono di autenticità, venendo esse impiegate come strumenti di misconoscimento, di falsificazione del reale”. Una parola quindi che non comunica più nulla, perché attraverso quel politicamente corretto e quel pensiero unico di cui si fa latrice diventa artefatta, autoreferenziale, equivoca, e che anzi disgrega quel commune facere che dovrebbe essere il comunicare.

A questa dimensione svilente della parola, si oppone l’uso religioso della parola e ancor di più il silenzio. Qui il silenzio diviene il modo con cui il singolo ritrova se stesso, si auto-centra, togli da sé ogni ingombro: “con il silenzio, l’uomo fuoriesce dal turbine delle sue giornate, dal frastuono insalubre cui è assoggettato continuamente e, senza che nessun elemento esterno possa distrarlo, fa partire dal suo interno un atto di volontà e di attenzione verso cose particolari, emozioni, domande cui non avrebbe altrimenti pensato”. Costantemente presi d’assalto da stimoli uditivo-percettivo, dal taffico di suoni (ma potremmo dire anche di immagini), il silenzio diventa paradossalmente un modo per affermare sé stessi.

Il valore della spiritualità come problema morale ed estetico

Vi è infine da affrontare il problema morale e quello estetico ad esso strettamente legato, attravero i temi del valore e della bellezza. Il valore, perduto ogni riferimento alla condotta morale e alla virtù, diviene valore di scambio, vendibile e consumabile: un prodotto economico fra gli altri. Lo  scadimento del valore si rende evidente nel suo relativizzarsi e nel suo farsi sempre più individualistico. Al contrario, un valore per essere tale necessita di un radicamento e di profondità, in quanto “dovrebbe essere il portato della tradizione di una civilità, il risultato di un lunghissimo percorso del pensiero e della vicenda umana che viene concettualizzato in forma difficilmente modificabile”.

Se la bellezza è il rendersi visibile del bene, quindi del valore inteso come virtù e verità, è abbastanza ovvio che il nostro mondo sia un mondo che difetta di bellezza. Soprattutto manca quell’esperienza del bello come viatico verso l’ulteriore e verso il divino: “Come la religione permette l’esperienza del sacro, così simula l’esperienza di una belleza che insiste non nella soggettività e nell’oggetto prossimo, ma nell’altro da sé e nel remoto”.

Riunire spirituale e materiale

Ciò che lega tra di loro tutti questi nuclei tematici è la lacerazione tra spirituale e materiaele. È qualcosa di più profondo di una negazione della spiritualità da parte della materia, in quanto quello che si viene a creare è un’opposizione che a sua volta si fa confusione, inversione, parodia. In questo modo la spiritualità non viene solamente esclusa o negata, ma si cerca di sostituirla con altro, con la promessa di una felicità puramente materiale. Vi è una perversione tra ciò che è sovraordinato con ciò che dovrebbe essere subordinato. Si fa spazio un’idea di felicità dettata dal comfort, alla portata di tutti, comprabile e sfruttabile, ma che non riesce a rispondere alle esigenze più profonde dell’uomo.

Ausili ne Il valore della spiritualità ricorre volentieri alla Chiesa cattolica come punto di riferimento in questa lotta a favore della spiritualità. Trovando in essa una sorgente da dove far scaturire e realizzare un ritorno alla spiritualità. Ma anche al di là di questo richiamo, abbiamo nella nostra memoria ancestrale di europei ed italiani numerosi esempi di ciò che può significare scegliere la spiritualità al posto del ciò materiale. Potremmo andare addirittura a quelle fonti originarie che sono i poemi omerici, con l’immagine di Achille che va consapevolmente incontro alla propro morte pur di non scadere nella peggiore vigliaccheria, o Ulisse che rifiuta le lusinghe di Calipso, alle promesse di una vita lunga e felice ma lontano da quello che è il suo posto nel mondo, da Itaca, dal suo ruolo sacro di padre e di re.

Michele Iozzino

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