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Savorgnan di BrazzĂ , l’esploratore italiano che afferrò il cuore dell’Africa

by La Redazione
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brazzĂ , esploratore

Roma, 16 ott – Una cittĂ  africana cela l’identitĂ  di un insigne romano. Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo. Sorge sulla riva opposta a quella di Kinshasa, sul bacino del Malebo, e fu giĂ  capitale dell’Afrique-Ă©quatoriale française – durante l’era coloniale. Il nome viene da chi la fondò nell’anno 1880, il quale è certamente piĂą noto Oltralpe. E non solo perchĂ© egli fu esploratore per conto di Napoleone III, quanto per quel gusto masochistico, antinazionale, vivamente sinistrorso, che l’Italia ha di obliare o annacquare l’eccellenza di certi suoi figli. Pietro Paolo nasce nel 1852, nella Roma dello Stato Pontificio. E’ il settimo dei tredici figli del conte Ascanio Savorgnan di BrazzĂ , friulano, e di sua moglie Giacinta, aristocratica romana. Dal padre eredita il gusto per l’esotico e per i viaggi, dalla madre un patrimonio immobiliare che consentirĂ  di finanziare le spedizioni dell’etĂ  matura. Da entrambi quella sensibilitĂ  a non considerare inferiori a sĂ© i selvaggi delle foreste pluviali.

Le prime esplorazioni di Brazzà 

GiĂ  allievo dei gesuiti, adolescente viene iscritto al collegio di Saint-Geneviève, muovendosi alla volta di Parigi. Entra poi nella Scuola Navale di Brest, da cui esce ufficiale di Marina nell’anno della breccia di Porta Pia. Forse perchĂ© poco propenso a portare sui documenti la croce sabauda del neonato Regno, lui nato e cresciuto papalino, opta per la cittadinanza francese. In Europa è appena iniziata la politica della corsa agli armamenti e alle materie prime, della caccia agli sbocchi extranazionali per merci e capitali. Dopo i tumultuosi anni di metĂ  Ottocento, riprende l’espansionismo coloniale. Così Germania, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Portogallo, Spagna, si spartiranno il continente africano in aree d’influenza sancite dalla Conferenza di Berlino. Ma prima ancora di questi accordi a tavolino, Pietro Paolo Savorgnan di BrazzĂ , ventiduenne, è partito per l’Africa occidentale, ampiamente inesplorata. Ritiene che l’Ogouè, fra Gabon e Congo, sia un’utile arteria fluviale per penetrare nelle regioni interne, conducendo fino ai Grandi Laghi. Accompagnato da un medico, un naturalista e una dozzina di portatori, è costretto a far ritorno anzitempo, bersagliato il gruppo dalle malattie infettive e dagli agguati degli indigeni. Ha dimostrato inconcludente la sua tesi, ma ha potuto scoprire come un’altra missione avanzi parallelamente alla sua, quella di Henry Morton Stanley. Al soldo di Leopoldo II del Belgio, il britannico sta conducendo, in gran segreto, tremila uomini a sottomettere senza pietĂ  le tribĂą locali, scatenandone l’aggressivitĂ  contro l’uomo bianco. Gentiluomo di sangue e di fatto, l’italiano naturalizzato francese prova a liberare quanti piĂą schiavi incontra sul tragitto, pagandone il riscatto ai mercanti. Scrive, deluso, al padre: “Sono rimasti con me un poco di tempo, ma poi mi hanno abbandonato per tornare a quegli stessi che, a forza, prima li avevano resi schiavi”. RiuscirĂ  a tenere con sĂ© solo una piccola orfana, che adotterĂ  e alla quale darĂ  istruzione.

Una seconda esplorazione del 1880, promossa dalla SociĂ©tĂ© Française de GĂ©ographie ma pure questa sovvenzionata di tasca propria (ovvero della madre), lo vede percorrere quel fiume “somigliante a un immenso serpente srotolato, con la testa nel mare… la coda perduta nelle profonditĂ  del territorio”: il Congo. Antesignano del protagonista del romanzo di Conrad, BrazzĂ  si spinge su un battello e poi a piedi, nella vegetazione, fino alle terre dei Tekè, dove si fa accogliere dal re Illoy I, Makoko di MbĂ©, convincendolo a mettere il suo regno sotto la protezione di Napoleone III, prima che giungano i belgi. Non è un raggiro dell’astuto imperialista sull’ingenuo selvaggio. E’ realmente interessato alla causa degli africani, per i quali reputa un bene la civilizzazione per mano europea. Tornato a Parigi, la sua fama lo ha anticipato. Dopo tre anni in missione, con in tasca l’accordo per quel protettorato che ha bruciato sul tempo la rivalitĂ  di Bruxelles, è degnamente accolto. I giornali ne raccontano l’impresa. E nel tempo in cui le masse sanno ancora render onori a quegli uomini di valore piĂą tardi scalzati dai fantocci del cinematografo, BrazzĂ  è un personaggio di successo. Cool, diremmo noi. Louis Vuitton gli realizza, su suo stesso disegno, il baule-letto e il baule-scrivania che porterĂ  nei successivi viaggi. Nadar lo ritrae nel suo studio prestigioso, il turbante in testa ed un fondale pittorico secondo il gusto della Belle Époque.

Nel cuore del Congo

A confrontare oggi il ritratto di Pietro Paolo Savorgnan di BrazzĂ  con quello di Henry Morton Stanley, s’intende come l’uno e l’altro incarnino opposte sensibilitĂ , fisicitĂ , intenzioni. Il primo, a piedi nudi, disarmato, la barba sul docile viso scarno, iconograficamente un Cristo degli indigeni. Il secondo, con stivali e carabina Winchester, un ragazzino di colore a fargli da paggio, le guance paffute e il profilo rapace dell’imperialismo alla God save the queen. “Non ho l’abitudine di viaggiare nei paesi africani in qualitĂ  di guerriero, come il signor Stanley, sempre accompagnato da una legione di uomini armati” – riporta il diario del Nostro – “e non ho bisogno di fare scambi perchĂ©, viaggiando come un amico, trovo dappertutto gente ospitale”. La notorietĂ  lo fa accedere ai piani alti del potere. Entra nella Massoneria, dalla quale però, disgustato, si allontanerĂ  pochi anni piĂą tardi. Riconosciuti i possedimenti in quel di Berlino, è nominato luogotenente e commissario generale della Repubblica del Congo, al confine con quello che è nato quale Stato Libero del Congo, sotto controllo del Belgio. “Libero” per modo di dire, come “Democratica” sarĂ , il secolo dopo, la DDR dei Soviet in terra tedesca. Accordi internazionali bandiscono la schiavitĂą, ma a migliaia di chilometri dalle stanze in cui erano stati firmati equivalgono a carta straccia.

La foresta alimenta la nascente industria del caucciĂą, antenato della plastica. I congolesi servono da manodopera per la raccolta e il trasporto della redditizia resina. Ogni villaggio è costretto a presentarne ai funzionari coloniali una quota. Se le consegne sono minori di quelle richieste, gli uomini di Leopoldo II passano alla mutilazione di mani e piedi, pratica di cui gli scatti d’epoca portano riscontro. Se un villaggio reclama malauguratamente la propria libertĂ , gli viene devastato il raccolto. Se la lezione non è stata compresa, il villaggio è raso al suolo, gli abitanti in parte lasciati morire, in parte deportati. Non prendeva forse ispirazione da qui, Josif Stalin, quando si occupava dei kulaki? Calcolano gli storici, in solo ventanni, dieci milioni i morti nel Congo belga. “L’orrore! L’orrore!” – saranno le ultime parole del mister Kurtz di Cuore di tenebra. Altre da quelle che Leopoldo II userĂ , bruciando gli archivi che registrano le sue nefandezze: “Regalerò ai belgi il mio Congo, ma non avranno diritto a sapere ciò che vi ho fatto”. Ma lĂ  dove può fallire la giustizia dell’uomo, non tradisce quella storica, che ci consegna una cittĂ  congolese che porta ancora il nome dell’esploratore, mentre inabissa nell’oblio del disonore la LĂ©opoldville del sovrano carnefice, oggi Kinshasa.

Un colonialismo romantico

PerchĂ© l’idea che BrazzĂ  ha del colonialismo è romantica, nobile, bella, da signore medievale. La colonia sotto il tricolore francese diventa così la versione umana di quella sul versante opposto delle acque. Il neo governatore ha però commesso un errore che gli sarĂ  fatale, concependo e mettendo in pratica un modello coloniale che non è al passo coi tempi, poichĂ© cozza fragorosamente con la logica del profitto duro e puro, capitalista. I resoconti sull’amministrazione di BrazzĂ  iniziano a circolare. E’ tacciato di favorire gli africani a danno dei francesi. Le Matin riporta che “continua a fare filantropia, rifuggendo da qualsiasi forma di colonizzazione… Rispetto agli indigeni, veste i panni del professore che rimpinza i suoi allievi di marmellate, nell’attesa che questi ultimi gli chiedano di insegnarli del greco e del latino. Gli indigeni continuano così a saggiare le nostre marmellate, ma derubano e massacrano i nostri connazionali”. Destituito dal giorno alla notte, BrazzĂ  è costretto a lasciare il campo ad uomini piĂą Ă  la page di lui. Sposa ThĂ©rèse, discendente del marchese de La Fayette. Si trasferiscono ad Algeri, dove crescono quattro figli. Ma poi il governo francese torna sui suoi passi e gli offre di tornare in Africa occidentale. La colonia sta per implodere, il governo rischia. L’opinione pubblica è venuta a conoscenza della condotta dei funzionari coloniali Fernand Gaud e Georges ToquĂ©, è montata la protesta. In occasione delle celebrazioni pubbliche per la presa della Bastiglia, i due hanno organizzato un macabro set di fuochi d’artificio. Le Matin parla di “un negro steso a terra, ben legato [che] è servito per far esplodere una cartuccia di formidabile esplosivo, precedentemente montata sulla sua schiena”.

Memoria pura di sangue umano

Questo ed altro riportano i quotidiani, corredando il tutto con vignette dal dubbio gusto satirico, degne del futuro Charlie Hebdo. Fra i congolesi è vivo il ricordo del “dolce e paziente” ex governatore, il suo ritorno servirĂ  a tamponare lo scandalo e a rabbonire gli indigeni. Così Savorgnan di BrazzĂ  è fatto rientrare nella cittĂ  che porta il suo nome. In veste di ispettore, indaga per appurare se le violenze siano isolate o il modus operandi dell’intero corpo dei funzionari. Questi riescono a fargli attorno terra bruciata. FinchĂ©, durante una danza in suo onore, uno stregone Tekè gli fa intendere, a gesti, l’esistenza di un campo di prigionia in cui il suo popolo è vessato. BrazzĂ  torna esploratore, si mette in cammino nella foresta, verso nord, trova quel luogo. Raccoglie testimonianze delle atrocitĂ  commesse, annota i nomi dei responsabili. Compila un dossier da recare di persona a Parigi. Ma non raggiungerĂ  la tappa conclusiva dell’ultima missione – “intrapresa per salvaguardare i diritti degli indigeni e l’onore della nazione” – la piĂą semplice sulla carta, la piĂą ostile essendo in gioco lucrosi interessi commerciali. Improvvisamente caduto malato – si parla di avvelenamento – la nave lo sbarca all’ospedale di Dakar, dove muore nel settembre 1905.

Le sue carte, nascoste nel doppio fondo dei bagagli Louis Vuitton, proseguono il viaggio per la capitale francese. Qui, uomini di fiducia riescono a consegnarle nelle stanze governative, ma la relazione di BrazzĂ  sarĂ  prontamente rigettata dall’Assemblea nazionale. ThĂ©rèse, degna compagna della vita, rimanda al mittente la proposta con cui i nemici dell’esploratore hanno offerto una tomba nel Pantheon di Parigi. E ne seppellisce le spoglie ad Algeri (nel 2006 traslate a Brasville). Sulla lapida vi fa scrivere: “Sa mĂ©moire est pure de sang humain – La sua memoria è pura di sangue umano”.

Alessandro Staderini BusĂ 

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