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Sigismondo Pandolfo Malatesta, il miglior perdente della storia

by Marco Battistini
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Roma, 11 mag – Rimini, 1923. È passato da pochissime ore l’equinozio di primavera, quando nella ridente cittadina romagnola si presenta, insieme alla moglie, un eccentrico poeta statunitense. Ad attirare nuovamente Ezra Pound in riviera non sono né il richiamo del mare né la proverbiale ospitalità di queste terre (in pochi anni il turismo si sarebbe trasformato da peculiarità elitaria a fenomeno di massa). Accolto da Averardo Marchetti – pioniere del settore alberghiero, eroe di guerra e fascista della prima ora – il fervido genio intendeva far propria l’eterna figura di Sigismondo Pandolfo Malatesta, il miglior perdente della storia.

Una complessa personalità

Così Ez definiva il signore di Rimini e Fano – uno dei fratelli, Novello, regnò invece sulla vicina Cesena. Si dice che, per meglio comprendere la complessa personalità del condottiero rinascimentale, il padre dei Cantos abbia viaggiato a piedi fino a Pennabilli. In linea d’area una quarantina di chilometri. Il nostro nasce nel giugno 1417, probabilmente in quel di Brescia. Figlio naturale di Pandolfo III, rimane ben presto orfano, raggiungendo così, ancora bambino, lo zio Carlo sulle rive occidentali dell’Adriatico.

Pandolfo dimostra fin dalla giovinezza un’indubbia predisposizione alle faccende militari. Nominato cavaliere nel 1433 da Sigismondo di Lussemburgo – la volpe rossa, da poco imperatore – lo troviamo cavaliere della Santa Sede. Oltre allo stato pontificio servì – cambiando spesso bandiera – la Serenissima, il Ducato di Milano, Firenze, Napoli e Siena. Escluso dalla pace di Lodi (1454) rimane isolato. Movimentata anche la vita matrimoniale: la morte della seconda moglie sdoganerà infatti la storia con la già amata Isotta, finalmente sposata in terze nozze nel 1456.

Malatesta, per Pound il miglior perdente della storia

Come tutti i grandi uomini della storia, piuttosto che perdersi nello sconforto, anche Sigismondo trova nella complessità propria della vita quella fiamma per andare – citando Corridoni – più avanti ancora. Seppur negli stretti confini di una signoria che non si poteva distinguere per ampia territorialità, Malatesta – il miglior perdente della storia – riuscì ad esprimere tutta la sua volontà di potenza attraverso le arti.

Bellicoso, ma allo stesso tempo mecenate visionario. Tra guerre e cultura, sono due in particolare i progetti che proiettano la grandezza di Pandolfo fino ai giorni nostri. Sicuramente Castel Sismondo, del quale oggi rimane solamente la (sempre imponente) struttura centrale. Fortemente voluto dal virtuoso sovrano, alla sua costruzione – iniziata secondo precisi calcoli astronomici alli 20 maggio 1437 a hore 10 e minuti 48  – contribuì, con un’importante consulenza, anche Filippo Brunelleschi. Palazzo e fortezza, era allora circondato da un fossato allagabile con le acque del Marecchia. Tra i colori spiccavano il verde, il bianco e il rosso. Piccola curiosità: dal 2019 il Campone della rocca è intitolato proprio a Ezra Pound.

Il tempio malatestiano

Meno maestosa, ma altrettanto affascinante, in particolare all’interno, è la seconda, grande, opera voluta dal capitano. Stiamo parlando del Tempio malatestiano, oggi duomo del centro riminese. Da una modesta chiesa devota al culto francescano, Sigismondo – a partire dal 1447 – ricava una delle più significative architetture del ‘400 italico. Qui lavorarono Leon Battista Alberti e Piero della Francesca. Un luogo di culto unico nel suo genere, dove l’elemento cristiano passa in secondo piano. Le fiancate ricordano il Colosseo, la cupola (mai realizzata, ma prevista nel progetto originale come testimoniato dalle monete celebrative) il Pantheon.

All’interno dominano elementi profani: putti, rose canine, elefanti, le lettere S e I – omaggio ad Isotta e allo stesso tempo abbreviazione di Sigismondo. Pio II arrivò a considerarlo come un “tempio di infedeli adoratori dei demoni”. Pochi anni più tardi dallo stesso papa arriverà una scomunica. Malatesta, etichettato come anticristo, morirà nell’ottobre del 1468 a Castel Sismondo per riposare proprio nel suo incompiuto tempio.

I forti e le meschinità dei deboli

Valoroso generale e illuminato mecenate. Condannato dalle leggi degli uomini ma – con il suo lascito arrivato fino ai giorni nostri – non da quelle divine. Nei Cantos malatestiani (VIII-XI) Pound racconta come le difficoltà non scoraggino l’uomo di valore, ma, anzi, lo spingano a osare di più. Elephas indus culices non timet, recita una massima della secolare casata romagnola. Chi ha forza interiore non dovrà mai preoccuparsi delle meschinità tipiche dei deboli.

Marco Battistini

 

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