Eppure accanto a questa impalcatura votata all’infinito e ad un paradigma universale, Sironi affiancò un’attività febbrile e quotidiana, volta a descrivere il contingente e a essere consumata in pochi secondi. Si tratta delle illustrazioni eseguite per un ventennio per Il Popolo d’Italia, il giornale – la voce – di Benito Mussolini. Sironi viene chiamato nel 1921 e creerà fino al 1942 circa duemila tavole, spesso producendone più di una al giorno. Il suo approccio alle vignette è quello dell’artista “militante” da lui teorizzato, da un lato celebrando il fascismo e dall’altro colpendone con la satira i nemici: i partiti di opposizione, gli esponenti del vecchio liberalismo, i quotidiani antifascisti (fra tutti il Corriere della Sera di Albertini), le democrazie occidentali, il comunismo russo.
Il contrasto fra il Sironi monumentale e il vignettista sembra insanabile: il ‘grande’ contro il ‘piccolo’, l’eterno contro l’effimero, il ciclo educativo e simbolico contro il battito sintetico della satira. Nonostante ciò la grande decorazione e la vignetta si parlano e si riconoscono. Si riconoscono i tratti portanti di Sironi in entrambe: la potenza del segno, la sintesi compositiva, la verticalità, la costruzione architettonica delle masse, l’arguzia. Del resto il pittore considerava le sue opere di piccolo formato come frammenti di pittura muraria. Non a caso le illustrazioni per Il Popolo d’Italia verranno riprese da Sironi come modelli per affreschi, vetrate, sculture. Ed è proprio in una rubrica su quel giornale che traccerà la prima formulazione del concetto teorico e pratico della pittura murale.
Il pittore nato a Sassari ne curerà i padiglioni a fiere nazionali e internazionali; all’interno della “Mostra della Rivoluzione Fascista” del 1932, realizzerà la riproduzione del “covo”, la prima mitica redazione del giornale di Mussolini. Inoltre sarà sempre Sironi sia a ideare le decorazioni scultoree per la nuova sede del giornale a Milano (fra tutte il bassorilievo di marmo di Carrara della facciata: Il Popolo italiano), sia a collaborare strettamente con Giovanni Muzio nella stessa progettazione dell’edificio.
Sarà proprio all’ultimo piano di quel palazzo che verrà collocata, dopo un certo pellegrinare, una delle opere monumentali più importanti di Sironi: L’Italia corporativa, il suo primo esperimento musivo. La migliore metafora, quella del mosaico, per rappresentare l’anelito totalizzante della sua arte. Arte ‘una e trina’, con l’architettura al centro con il compito di coordinare – e farsi completare – da pittura e scultura. Le leve antiche e moderne su cui si è mosso Sironi, gigante sulle spalle dei giganti.
Simone Pellico
1 commento
[…] Abbiamo già avuto modo di raccontare l’apparente sorpresa di trovare il monumentale Sironi, “il Michelangelo del ‘900”, alla prese con delle vignette. Lui, il signore della pittura muraria votata al ciclo eterno, che brucia la realtà in mozziconi quotidiani sulle pagine de Il Popolo d’italia. Abbiamo già avuto modo di dire che il contrasto fra il Sironi monumentale e il vignettista sembra insanabile: il ‘grande’ contro il ‘piccolo’, l’eterno contro l’effimero, il ciclo educativo e simbolico contro il battito sintetico della satira. Nonostante ciò la grande decorazione e la vignetta si parlano e si riconoscono. Si riconoscono i tratti portanti di Sironi in entrambe: la potenza del segno, la sintesi compositiva, la verticalità, la costruzione architettonica delle masse, l’arguzia. Nelle vignette si muovono piccoli giganti, volti scultorei, spigolosi, tagliati dalla luce e dalle ombre, assemblate in un contrasto netto. Del resto il pittore considerava le sue opere di piccolo formato come frammenti di pittura muraria. Non a caso le illustrazioni per Il Popolo d’Italia verranno riprese da Sironi come modelli per affreschi, vetrate, sculture. Ed è proprio in una rubrica su quel giornale che traccerà la prima formulazione del concetto teorico e pratico della pittura murale. […]