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Quando la nazionalità non è un capriccio: il caso Dybala

by Michael Mocci
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Paulo+Dybala+Citta+di+Palermo+v+Hellas+Verona+CHlNCwcZdj1lPalermo 8 dic – Nel campionato italiano, ormai orfano di grandi campioni, gioca, con la maglia del Palermo, un grande talento appena ventunenne, Paulo Dybala.

Paulo ha una nonna italiana, così Antonio Conte è andato a Palermo per convincerlo a giocare con la nazionale azzurra. Dybala ha cortesemente rifiutato.

Non potrei difendere i colori di un altro Paese come se fossero i miei, preferisco aspettare una chiamata dell’Argentina” – ha dichiarato il talento rosanero. In un momento in cui il dibattito sulla cittadinanza e sulla nazionalità è tanto caldo, queste parole non possono passare inosservate. Dybala ha rifiutato la convocazione dell’Italia, che gli garantiva un posto da titolare e da protagonista, non per aspettare l’incerta convocazione di una nazionale più forte, ma per aspettare la chiamata della sua nazione. Ha fatto inoltre un ragionamento limpido, ma per molti inconcepibile: l’Italia è la nazione in cui lavora e che gli dà da mangiare, ma non è la sua nazione: il semplice fatto di essere emigrato non lo rende e non lo fa sentire un italiano. A Palermo lo chiamano ‘u picciriddu, il ragazzino, ma una simile presa di posizione denota grande maturità.

Dietro il rifiuto di Dybala non c’è solo un grande attaccamento verso l’Argentina. C’è anche un motivo familiare: a 15 anni il padre di Paulo, muore. “Mio padre aveva un sogno: che uno almeno dei suoi tre figli diventasse calciatore. Non c’è riuscito Gustavo, il maggiore, e neanche Mariano, che tutti dicono fosse più forte di me, ma che è stato vinto dalla nostalgia di casa. Perciò io dovevo farcela: per onorare la memoria di papà ed esaudire il suo desiderio. Lui mi aveva accompagnato a ogni allenamento, un’ora di macchina da Laguna Larga, dove vivevamo, a Cordoba. Quando papà morì, chiesi alla società di farmi tornare a casa. Per 6 mesi giocai nella squadra del mio paesino, poi rientrai nell’Instituto. E dato che non c’era più nessuno che poteva portarmi avanti e indietro dall’allenamento, mi trasferì nella pensione della squadra. Non fu facile: ero rimasto orfano da poco e avevo la famiglia lontano. Mi chiudevo in bagno a piangere, ma non ho mollato. E oggi so che papà è orgoglioso di me”.

“Ne ho parlato con la mia famiglia e con i miei amici e sono arrivato alla conclusione che ho una carriera davanti, per cui aspetterò quello che voglio da una vita: vestire la maglia celeste e bianca”. La stampa italiana non ha dato molto peso a queste dichiarazioni. In Argentina invece Dybala, dopo queste parole, è diventato un idolo, più di quanto non lo fosse già per le sue giocate. Forse lì ancora non si pensa che cittadinanza e nazionalità siano degli accessori da cedere a buon mercato.

Roberto Guiscardo

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