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“Uno straordinario esempio di coraggio e genialità”. A 78 anni dall’impresa di Alessandria

by La Redazione
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Glie eroi di Alessandria

Roma, 19 dic – Uno straordinario esempio di coraggio e genialità!”. Così definì il primo ministro inglese Winston Churchill, informando il parlamento durante una seduta a porte chiuse, l’impresa di Alessandria da parte della Decima Flottiglia Mas della Regia Marina italiana. La Regia Marina militare possedeva una potente flotta, moderna e soprattutto più veloce rispetto all’antagonista inglese. Tuttavia gravi lacune la affliggevano. Le più decisive erano sicuramente l’assenza di portaerei e la totale mancanza di un efficace coordinamento con la Regia Aeronautica, che avrebbe dovuto garantire alle navi la copertura aerea. Queste premesse costrinsero le grandi unità ad azioni limitate. Come nella prima guerra mondiale, la Regia Marina si affidò principalmente al naviglio leggero – Mas, sommergibili, barchini esplosivi, Slc  – ovvero Siluri a Lenta Corsa, inventati dal capitano Teseo Tesei e ribattezzati “maiali” per la loro difficoltà a controllarli.

I maiali operavano sott’acqua, azionati da un motore elettrico di 1,6 cv, alimentato da una batteria di accumulatori che assicurava una velocità di tre nodi, per un massimo di 15 miglia di autonomia. Lungo lo scafo del siluro erano collocate due postazioni verticali, munite di comandi che alloggiavano due palombari, dotati  di autorespiratore. Alla prua del maiale era collocata una carica esplosiva che conteneva 300 chilogrammi di tritolo, (esplosivo ad alto potenziale). Il maiale, giunto in immersione sotto la carena dell’unità da colpire, si posava sul fondo e i due palombari, scendendo dal siluro, sganciavano la carica, collocandola sulla carena della nave ed azionavano la spoletta a tempo per regolare l’ora della deflagrazione.

Missioni suicide o quasi

Si trattavano di arditi colpi di mano, quasi delle missioni suicide, che prevedevano già in partenza la cattura dei marinai. Tuttavia, anche in questa guerra, furono proprio questi mezzi a riportare i più importanti successi. In questo contesto si inserisce appunto la celeberrima impresa di Alessandria. Le precedenti missioni, denominate G.A.1 e G.A.2 contro Alessandria, e B.G.1 contro Gibilterra, non erano andate bene: un sommergibile affondato (Iride), uno autoaffondato (Gondar) e numerosi palombari e sommergibilisti morti o catturati. Ora il tenente di vascello Junio Valerio Borghese ci riprovava, ancora una volta con lo Scirè, reduce dalla precedente missione a Gibilterra – B.G.4 del 19 settembre 1941 – che vide l’affondamento di quattro mercantili.

La Regia Marina svolse i preparativi della missione di Alessandria nel massimo segreto, presso la base di Bocca di Serchio (Pisa), studiando tutti i dettagli delle difese e delle ostruzioni situate nel porto inglese. Per trasportare i maiali gli ingegneri della Regia marina collocarono sul ponte di coperta del Regio Sommergibile Scirè, tre cilindri metallici a tenuta stagna, per contenere i maiali. Vennero collocati due cilindri in posizione parallela a poppa ed uno a prora dell’unità. Quando l’addestramento degli incursori venne ultimato, Supermarina diede inizio alla missione segreta denominata in codice G.A.3, eseguita dagli incursori della X Flottiglia MAS.

Partenza da La Spezia e arrivo ad Alessandria

La sera del 3 dicembre 1941, precisamente alle 23, il sommergibile Scirè, mollò gli ormeggi da La Spezia, diretto alla base di Lero, nel Dodecanneso, giungendo a destinazione la sera del 9 dicembre. Ultimati i preparativi  ed imbarcato il personale incursore, il 14 dicembre alle 7 del mattino il sommergibile italiano, carico dei siluri 221, 222 e 223, mollò gli ormeggi e prese il mare aperto. Il primo siluro era comandato da Luigi Durand de la Penne con Emilio Bianchi. Il secondo da Vincenzo Martellotta con Mario Marino. Il terzo da Antonio Marceglia e Spartaco Schergat.

La notte del 17 dicembre giunsero gli ordini di Supermarina, il quale confermava la presenza in porto delle unità da battaglia inglesi e di una probabile portaerei. A causa di una violenta mareggiata, Borghese accumulò però un ritardo di un giorno sulla data prevista per l’attacco (il 17 dicembre). Lo Scirè raggiunse gli sbarramenti minati, situati vicino al porto e si immerse ad una profondità di 60 metri passando sotto gli sbarramenti fino a giungere alla distanza di 1,3 miglia dall’ingresso del porto di Alessandria. Giunse quindi nella rada di Alessandria il 18 dicembre alle 20.45 e viste le condizioni ottimali del mare, il sommergibile si adagiò sul fondo sabbioso ed iniziò l’operazione di sgancio dei maiali con i suoi operatori.

L’attacco alla Valiant

I tre maiali sganciati dal sommergibile iniziarono a risalire in superficie fino ad affiorare a pelo d’acqua e coperti dal buio si diressero verso le reti metalliche di sbarramento. Da lontano intravidero tre incrociatori inglesi che rientravano in porto e con una immediata ed impeccabile manovra si inserirono nella scia delle navi, entrando nel porto ed eludendo la sorveglianza del personale preposto alle manovre di apertura e chiusura delle reti. Giunti all’interno della base i tre maiali si divisero per raggiungere gli obbiettivi assegnati. Il 221 di Durand de la Penne, giunse in posizione, davanti a loro si ergeva in tutta la sua maestosa grandezza, la corazzata Valiant di 27.500 tonnellate: il loro obiettivo. I due procedettero nella totale oscurità, si erano addestrati per mesi nelle manovre e sapevano compierle a occhi chiusi.

Durante la manovra un cavo rimase impigliato al maiale, ma con grande sforzo umano riuscirono a disincagliare ed immergersi sotto la carena della Corazzata Valiant. Raggiunto il fondale il motore del maiale si spense e contemporaneamente un malfunzionamento del respiratore del Capo Bianchi costrinse lo stesso ad emergere. De La Penne da solo sganciò la carica esplosiva dal maiale e la posizionò sull’aletta di sinistra accanto alla grossa elica della corazzata, regolando il timer della spoletta per la deflagrazione. Intanto il Capo Bianchi, rifugiatosi nei pressi di una boa, venne scoperto dalle sentinelle inglesi sulle motobarche ed una volta riemerso De la Penne tentò di fuggire ma dopo l’intimazione di arrendersi, una raffica di mitragliatrice, scoraggiò il gesto di fuga.

Issati sulla motolancia, vennero condotti a bordo della corazzata alla presenza del Comandante per essere interrogati, ma entrambi si rifiutarono di parlare e vennero rinchiusi in un locale della nave, situato sotto la linea di galleggiamento dell’unità. Il comandate della corazzata Valiant, capitano di vascello Morgan, pensava che rinchiudendo i prigionieri in quel locale sotto la linea di galleggiamento avrebbe indotto i prigionieri a rivelare la posizione della carica. Intanto il tempo scorreva sui cronografi Radiomir Panerai degli incursori di marina. All’approssimarsi dello scoppio, Durand de la Penne chiese di conferire con il comandante della nave informandolo sull’imminente esplosione della carica per salvare vite umane. Nonostante il nobile gesto, venne nuovamente rinchiuso nel locale. Scoccarono le 6.06 quando il boato della bomba investì la corazzata: i due italiani erano ancora agli arresti nel ventre della nave, ma sopravvissero.

L’attacco alla Queen Elizabeth

I marinari della Queen Elizabeth, l’altra grande corazzata ormeggiata con le sue 33.550 tonnellate, guardarono increduli le sorti della Valiant, ma di lì a poco toccò anche a loro. Qualche istante dopo si sentirono deflagrare anche le altre cariche, precisamente quella del maiale 222 di Marceglia che posizionò la carica sotto la corazzata Queen Elizabeth, affondandola, mentre il maiale 223 di Martellotta posizionò la carica sotto la Petroliera Sagona. Marceglia e Schergat compirono una “azione da manuale” minando la corazzata, auto-affondando il maiale e quindi allontanandosi da Alessandria.

I due furono catturati il giorno successivo mentre cercavano di cambiare la valuta data loro dal SMI (Servizi Militari Italiani) che non avevano più alcun valore in Egitto. Anche Martellotta e Marino, sul 222, nonostante il malore del primo riuscirono a minare la loro nave bersaglio, la nave-cisterna Sagona, la quale nell’esplosione danneggiò anche il cacciatorpediniere Jervis uno dei più decorati della flotta inglese. Al termine dell’azione d’Alessandria si contarono complessivamente 61.050 tonnellate affondate, 9.940 danneggiate e soli otto morti tra gli inglesi, a fronte dei sei italiani catturati.

Federico Bianconi

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