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Su Roberto Calasso e su alcune questioni editoriali

by Giovanni Damiano
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roberto calasso, adelphi

Roma, 30 glu – Dei libri di Roberto Calasso ho letto soltanto La letteratura e gli dei, trovandolo bello ma non indimenticabile. Ho apprezzato molto più alcune postfazioni ‘calassiane’, specialmente “Il sogno del calligrafo” (allo Jakob von Gunten di Robert Walser), “Déesses entretenues” (a Mine-Haha di Franz Wedekind) e “Cicatrice di smalto” (allo straordinario Cervelli, di Gottfried Benn). Anche la postfazione al capolavoro di Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, è degna di nota, con alcune intuizioni davvero fulminanti, ma, ahimé, anche con una grossolana caduta di stile, laddove Calasso ricorda le liste di autori ebrei redatte da Evola nei suoi scritti della seconda metà degli anni Trenta, in cui faceva bella mostra anche “l’ebreo Stirner”, senza minimamente far cenno al ruolo ben più importante, e del tutto privo di venature antisemite, giocato dallo stesso Stirner nella evoliana filosofia dell’Individuo Assoluto.

Roberto Calasso e i meriti di Adelphi

Un modo, alquanto inelegante, di passare sotto silenzio, in quella che Calasso battezzava polemicamente “Italietta speculativa”, il fatto che Stirner avesse trovato ‘scandalosamente’ ascolto proprio in virtù del suo radicale nichilismo. Bellissimo anche “Monologo fatale”, in coda all’Ecce Homo di Friedrich Nietzsche. Ma qui è il caso di allargare la prospettiva. Che l’Adelphi abbia contribuito a far uscire dall’oblio o dalle catacombe una quantità impressionante di autori e tematiche è fuor di dubbio. Che buona parte di questi autori e tematiche non fosse propriamente ‘all’ordine del giorno’ nel giardino fatato e autoreferenziale della cultura marxista-progressista è altrettanto certo. I meriti, insomma, sono indiscutibili e tali resteranno.

Quell’eccesso di prudenza

Però è altrettanto evidente che, magari per comprensibilissime ragioni di prudenza, l’Adelphi abbia non poche volte presentato determinati autori, sottacendone o minimizzandone certi aspetti per nulla in linea con la vulgata dominante. Ad esempio, io trovo insopportabile il nichilismo salottiero di Emil Cioran, ma questo è solo un giudizio personale. Non c’è invece niente di personale nel notare l’assenza, nel catalogo adelphiano, dell’opera ‘guardista’ dello scrittore rumeno, vale a dire Trasfigurazione della Romania. Se si passa all’Ernst Jünger adelphiano, non si trovano le opere ‘esplosive’ degli anni Venti e Trenta ma testi come il Trattato del ribelle che, a mio parere, rappresentano, in buona sostanza, un invito al disimpegno e una giustificazione ‘alta’ per i pusillanimi di ogni schieramento.

Una selezione molto chiara di opere è presente anche nel caso di Carl Schmitt, anche se va detto che perlomeno nell’edizione adelphiana di Terra e mare vengono puntualmente riportate le varianti, dal tono apertamente antisemita, risalenti alla prima edizione del 1942 e poi lasciate cadere nel secondo dopoguerra. Pure di Heidegger non è dato trovare, nel catalogo adelphiano, testi particolarmente ‘urtanti’. Oppure, altro esempio, alcuni dei testi più ‘compromettenti’ della silloge di scritti di Gottfried Benn, Lo smalto sul nulla, sono stati tradotti dalla versione del secondo dopoguerra, contenente delle significative ‘limature’; a latere, chi fosse interessato a leggere alcuni di questi testi nella loro versione originaria, ha ora a disposizione G. Benn, La gioventù chiama gli dei al risveglio, Edizioni di Ar.

L’innocenza di Nietzsche

Un discorso a parte meriterebbe René Guénon, la cui presenza nel catalogo Adelphi se da un lato è segnata da fortissimi motivi di critica antimoderna (basti pensare a Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi), dall’altro rimanda comunque a una Tradizione che si tiene lontanissima da ogni improvvida e ‘pericolosa’ contaminazione col mondo storico-politico. Chiudo proprio con Nietzsche. È nota la straordinaria operazione culturale dell’Adelphi, vale a dire la pubblicazione, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, dell’edizione critica delle opere del filosofo di Röcken. È forse meno noto il capitolo posto da Domenico Losurdo in appendice al suo monumentale Nietzsche, il ribelle aristocratico, ed esplicitamente intitolato “Come si costruisce l’innocenza di Nietzsche”. Losurdo vi denuncia, tra le altre cose, proprio la strategia editoriale dell’Adelphi, basata su traduzioni tendenti se non a occultare, quanto meno a neutralizzare il più possibile il fondamentale lato politico di Nietzsche, ovvero, per usare le stesse parole di Losurdo, per “rimuovere, come un elemento allotrio e di disturbo, il mondo storico e politico” pur presente in Nietzsche, al fine di privilegiare un’interpretazione in fondo depoliticizzata e destoricizzata del filosofo tedesco.

Giovanni Damiano

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2 comments

Massimo Sarno 30 Luglio 2021 - 11:40

Si tratta evidentemente di giudizi molto personali. Le opere di Cioran, di alto profilo letterario, non mi sembrano ne` salottiere ne` accomodanti. Junger, come Evola, non invita al disimpegno, ma a non risolvere l’impegno in una forma di attivismo privo di sostanza culturale e spirituale. Infine, opere come LA POESIA DI HOLDERLIN e NIETZSCHE non mi sembrano cosi`secondarie nella produzione di Heidegger, cosi` come il NOMOS DELLA TERRA in quella di Schmitt.

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fabio crociato 1 Agosto 2021 - 11:37

Mi complimento con Damiano e Sarno per le loro considerazioni da veri interessati, personalmente ho trovato l’ Adelphi sì alternativa e ben più produttiva del nulla e “scurrile” cartastraccia post-’68, ma assai
“pesante” o poco alla portata dei più. Quasi a voler guidare una élite forzata…

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