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Yukio Mishima, l’esempio di suprema ribellione

by La Redazione
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Roma, 25 nov – “Voi non insorgerete. Non vi ribellerete. Non lo farete mai. Non farete mai niente, voi”. Mai come oggi le parole di Yukio Mishima risuonano nella nostra (dis)umanità inconsistente e fiacca. Mai come oggi sono il grido di un uomo libero dai preconcetti, libero dalla sua società, dai giudizi (auto)imposti dalla comunità, libero di poter sperimentare ogni tipo di pensiero e azione senza dover rendere conto a niente e nessuno, se non alla propria nipponica coerenza o alla costruzione di una figura certamente teatrale per certi versi ma anche profondamente prometeica, dove il mito dell’uomo che ruba agli dei il fuoco per gli altri uomini, diventa quello di un uomo che sottrae un fuoco pallido a una nazione oramai esanime per restituirla ravvivata nel suo sacrificio, a chi poteva capire o avrebbe capito un giorno.

Yukio Mishima, la continua ribellione a un mondo di bruttezza e grettezza

Spegnendo il proprio fuoco vitale, con il seppuku, per rendere più alte le fiamme della torcia comune, la storia di Kimitake Hiraoka fu tesa in modo ipertrofico verso un eroismo tramontato che “camuffava” un animo sensibile ed emotivo e che lo ha reso martire di se stesso e delle sue ossessioni estetiche, che fossero letterarie, spirituali o tradotte in azione. Un’esistenza segnata da una situazione familiare fuori da qualsiasi norma ci si possa immaginare, in cui egli crebbe con la nonna, completamente isolato e con un’attitudine, imposta, declinata al femminile e ai giochi femminili, pur avendo il diktat della vigoria e dell’atavico sentimento samurai. Una figura paragonabile per molti versi al nostro D’Annunzio, di cui Mishima tradusse dal francese Il martirio di San Sebastiano e che, sotto molti aspetti, corri-sponde a gran parte degli ideali stilistici e letterari dell’autore nipponico.

Perché, come disse Moravia: “Mishima amava d’Annunzio. Non lo amava perché apparteneva al passato: lo amava perché lo riteneva tuttora al centro del presente”. Yukio Mishima fu nominato più volte al Nobel per la letteratura, era prolifico, scriveva e pubblicava, i suoi scritti erano ritenuti dei capolavori così come venivano osteggiati e dileggiati. Ma non se ne curava. Lui credeva nel suo cammino, nella sua continua ribellione a un mondo ridicolo, fatto di bruttezza e grettezza, che combatteva con ogni respiro che aveva in corpo e a cui inferse il colpo decisivo con l’ultimo respiro, che esalò in quel fatidico giorno di splendore e morte.

Disegno: Dionisio di Francescantonio, matita su carta, 2021.

Alex Pietrogiacomi

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