Roma, 20 ott – Otto settimane. Di tanto è la proroga chiesta lo scorso 15 ottobre da Ferrovie dello Stato per presentare l’offerta vincolante su cui si baserà il futuro di Alitalia. Due mesi tondi che si aggiungono ai 30 già passati in amministrazione straordinaria. Senza contare poi le vicissitudini che la tengono sotto scacco da quando, più di 10 anni fa, iniziarono le danze.
Mai un piano industriale
Prima furono i sedicenti “capitani coraggiosi”, un’accozzaglia nata male morta peggio. Venne poi Etihad, con il risultato di riuscire persino a peggiorare una situazione già drammatica. Infine il commissariamento, partito nel 2017 e del quale non si intravede ancora la fine.
Nel mezzo, stretti fra operazioni di equilibrismo societario e frane contabili, oltre un decennio è passato senza che nessuno riuscisse a mettere insieme la parvenza di un piano industriale. Alitalia continuava e continua a volare (e a bruciare tonnellate di euro) alla rinfusa, in assenza di qualsiasi visione sul futuro mentre le compagnie low-cost erodevano progressivamente quote di mercato e margini. Una strategia destinata a sicuro fallimento, come in effetti è stato.
Quanto abbiamo speso per (non salvare) Alitalia
Gli ultimi numeri ci parlano di 900 milioni – la dote dei commissari – letteralmente gettati al vento, a cui vanno aggiunti i 350 appena stanziati dal governo per garantire l’operatività del vettore da qui all’agognata meta dell’offerta vincolante. Sommato a quanto speso dal 2007 ad oggi tra aumenti di capitale, sovvenzioni, cassa integrazione, fanno la bellezza di oltre 5 miliardi. Cifra che, secondo calcoli più arditi, lieviterebbe a più di 9 miliardi.
Con questi numeri – che ci si situi nella parte bassa o alta della forchetta poco cambia – Alitalia avrebbe potuto mettere nero su bianco una strategia di ampio respiro. Volendo semplificare, tenendoci a metà strada: con 7 miliardi di investimento si acquistano 20 aeromobili di lungo raggio, quelli che servirebbero per far tornare Alitalia protagonista sulle tratte intercontinentali che ad oggi sono le uniche a garantire redditività. Invece siamo di nuovo qui a parlare di una lenta agonia, ennesimo atto di un autentico salasso che ha visto protagonisti il peggio dell’insipienza imprenditoriale tricolore da un lato e la totale incapacità pubblica di mettere nero su bianco una qualche parvenza di politica industriale.
Filippo Burla