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Gas e trivelle nell’Adriatico: ecco perché il gioco vale la candela

by Salvatore Recupero
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gas adriatico

Roma, 19 giu –  Il gas scarseggia dopo il taglio delle forniture comunicato da Gazprom. Il governo sta prendendo i suoi provvedimenti. Nell’immediato è prevista una riduzione dei consumi nelle case e negli uffici. Nel medio e lungo periodo: più gas e Gnl da fornitori alternativi alla Russia e incremento della produzione nazionale, anche con nuove perforazioni.

Se ci soffermiamo su quest’ultimo punto la mente non può non andare all’Adriatico dove i croati estraggono il gas metano mentre noi ci rinunciamo come se non ci servisse.

Il gas nell’Adriatico

Negli ultimi giorni si è confermato un trend che dura anni. Pochi giorni fa il direttore operativo per la ricerca ed estrazione di Ina (la società petrolifera croata) Nikola Misetic, ha annunciato che investirà circa 266 milioni di euro per la costruzione di nuove trivelle e piattaforme. L’obiettivo, ha spiegato il manager, è quello di “rafforzare la sicurezza energetica del Paese”.

In Italia, invece, nonostante le tensioni internazionali, con la Russia che continua a tagliare le forniture di gas dirette in Europa, è tutto fermo a causa di muro di norme che bloccano qualsiasi tipo di attività estrattiva.

Il Sole 24 Ore per spiegare cosa sta accadendo ha paragonato i giacimenti di gas ad un bicchiere di granita. La cannuccia che arriva prima sul fondo del bicchiere sugge tutto lo sciroppo; la seconda dovrà accontentarsi di ghiaccio sciolto.

Così accade nel sottosuolo con i giacimenti sotto il confine. In casi simili — avviene in mezzo all’Adriatico tra Ravenna e Pola, e più a sud fra Ancona e Zara — italiani e croati avevano perforato insieme e oggi condividono lo stesso gas. Solo che l’Italia ha deciso di non usare la sua “cannuccia” quindi Zagabria può tranquillamente “bersi l’intero bicchiere di granita”.

A cosa è dovuta l’inerzia italiana?

Da quasi venti anni le attività di ricerca ed estrazione sono ridotte al lumicino. Soprattutto nel tratto di mare al di sopra del parallelo che passa per la foce del ramo di Goro del Po sono vietate per il rischio di subsidenza, cioè della possibilità che si verifichi un abbassamento del fondo marino proprio a causa delle estrazioni.

Oggi ad ostacolare lo sfruttamento delle risorse dell’Alto Adriatico è il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI) approvato dal ministero della Transizione Ecologica. Pitesai è stato introdotto nel 2018 dal Governo Conte 1 ufficialmente come piano regolatore delle trivelle ma diventato nella realtà uno strumento per impedire in modo discreto lo sfruttamento dei giacimenti nazionali.

Grazie a normative come questa la produzione nazionale dal 20% del 2000 al 3-4% del 2020. Questo non vuol dire che l’Italia può essere autonoma sfruttando i giacimenti nell’Adriatico ma sicuramente nell’ottica della diversificazione delle fonti abbiamo scelto di comprare invece che di sfruttare quello che già è nostro.  

Quanto ci costa il metano?

Nel sottosuolo italiano riposano indisturbati almeno 90 miliardi di metri cubi. Probabilmente sono stime al ribasso che conteggiano solo i giacimenti accertati. Quest’ultimi non vengono più ricercati a causa delle restrizioni che impediscono di farli fruttare.

Il costo di estrazione del metano in Italia si aggira sui 5 centesimi al metro cubo un costo destinato a levitare fino ai 50/70 centesimi se viene importato.

L’Italia consuma circa 70-75 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Da gennaio a settembre abbiamo usato 53,2 miliardi di metri cubi (+6,8% rispetto ai primi nove mesi del 2020), di cui 2,48 (-20,2%) estratti dai giacimenti in pianura padana e dai grandi giacimenti dell’Adriatico, in Basilicata e, in misura contenuta, inSicilia. Le importazioni vengono soprattutto da Russia, Algeria, via nave al rigassificatore di Rovigo e dal nuovo metanodotto Tap.

Come ottimizzare l’estrazione

Oggi, come abbiamo scritto prima, c’è la necessità di implementare lo sfruttamento dei giacimenti di gas italiani, ci si chiede, dunque, come fare. Non sarà facile tornare alla situazione di 20 anni fa.

Secondo uno studio dall’Assorisorse (che riunisce l’industria mineraria) sui soli giacimenti di gas dell’Emilia e della Romagna sia in terraferma e sia in Adriatico bisognerebbe investire 322 milioni per raddoppiare da 800 milioni a 1,6 miliardi di metri cubi l’anno l’ormai stanca produzione.

Per estrapolazione, in Italia servirebbe un paio di miliardi per estrarre circa 10 miliardi di metri cubi l’anno per dieci anni. Risultati lontani dai 17 miliardi del 2000, ma darebbero un contributo alla manodopera nazionale, alle imprese, alle casse dello Stato.

Probabilmente le prossime mosse non porteranno a perforare nuove riserve ma si tratterà di aggiornare gli impianti dei giacimenti ancora attivi e di riattivare le riserve ferme da anni. Alcune riserve sono ormai secche, ma diversi giacimenti sono ancora pieni di gas ma sono bloccati da anni per norme, ricorsi, divieti e moratorie.

Per il momento, parte solamente Argo-Cassiopea, nel Canale di Sicilia dove l’Eni avuto il via libera avvia lavori per 700 milioni, che per un decennio darà un miliardo di metri cubi di gas in più l’anno.

Rimangono sepolti, intoccabili, i 30 miliardi di metri cubi di metano sotto al fondale dell’alto Adriatico. Speriamo di non pensarci troppo. I croati si stanno muovendo da tempo e senza sosta. E tornando all’esempio della granita il giorno in cui decideremo di attingere a quelle risorse rischiamo solo “di trovare un po’ di ghiaccio”.

Salvatore Recupero

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