Roma, 1 gen – Un fantasma si aggira per il 2020. E’ quello dello smantellamento dell’industria italiana, che assume ogni giorno di più fattezze reali. Da Ilva a Fca, passando per Alitalia. Accanto ai casi più noti, poi, una miriade di situazioni mai risolte.

I tavoli aperti al Mise

La triste contabilità è quella dei tavoli di crisi attualmente aperti al ministero dello Sviluppo. Sono 149: un dato che non si discosta da quello degli ultimi anni, ma che scendendo più nel dettaglio rivela un’incapacità di fondo di pensare ad una seria politica industriale. 102 di questi, infatti, sono attivi da più di tre anni, 28 addirittura da 7. Segno che sappiamo quando un tavolo si apre, ma passa del tempo prima di assistere alla sua chiusura. La quale, spesso e volentieri, neanche coincide con esito positivo.

Alitalia e Ilva

Una delle vertenze più datate è sicuramente quella della nostra (fu) compagnia di bandiera. La vicenda si trascina da anni, fra alti (pochi) e bassi (moltissimi, pause caffè da migliaia di euro comprese), con lo Stato chiamato di continuo ad erogare prestiti-ponte in attesa di una “soluzione di mercato” on esiste o, laddove fosse in qualche modo pensabile, significherebbe un massiccio ridimensionamento del vettore. Solo un importante investimento pubblico, l’unico a questo punto capace di accompagnarsi ad un serio piano industriale visti i clamorosi fallimenti del privato, potrebbe essere risolutivo. L’opzione non sembra tuttavia all’ordine del giorno. Costringendoci, di fatto, all’irrilevanza nel grande risiko del trasporto aereo.

Non va meglio per quanto riguarda l’Ilva. Ancora sotto il mantra del mercato, il più importante siderurgico europeo è finito nelle mani di una multinazionale indiana il cui obiettivo probabilmente non coincideva con le promesse di investire nello stabilimento. Nel mentre, il 2020 si apre con la spada di Damocle della magistratura sulle sorti dell’Altoforno 2: se dovesse essere chiuso, sarebbe un gravissimo colpo ad un’architrave del sito tarantino. Capace, nel breve termine, di assestare un colpo mortale alle sue speranze di ripresa.

Fiat addio

Non servono particolari doti da strateghi per comprendere lo scenario che va profilandosi. Di che acciaio abbiamo d’altronde bisogno se non saremo più chiamati a dire la nostra nel settore dell’industria automobilistica? Si veda alla voce Fca-Peugeot, il cui accordo è stato perfezionato negli ultimi scorci dell’anno appena concluso.

Una fusione, nonostante gli annunci, tutto tranne che paritaria e nella quale saranno i secondi a dettare la linea sin da subito. Non è un caso che l’ex Fiat si sia accostata alle trattative con una cura dimagrante ancora in corso: Magneti Marelli prima, poi Teksid, mentre quel gioiello di tecnologia che è Comau attende nel limbo.

Filippo Burla

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10 Commenti

  1. Certo che l’ industria nel sud Italia non è stata una grande idea… Quindi chi si prende l’ industria, se sbaglia ed è facile sbagliare, avrà qualche “problemino”… Stiamo a vedere. Un pizzico di pessimismo costruttivo su questa questione, concediamocelo.

  2. Questi comunisti stanno portando l’Italia alla distruzione sotto ordine della nazista Merkel e il popolo pecora ancora non lo capisce boh

  3. Nazista la Merkel?! Angela Dorothea Kasner con nonno Kazmierczak…, palesi e riconosciute origini ebreo polacche. Provenienza benestante dalla DDR…

  4. […] Scherzi a parte: l’Italia ha bisogno di una politica industriale guidata seriamente da un ente pubblico. Il governo non può stare a guardare. Ad esempio pensiamo ai nostri cugini d’oltralpe. In Francia lo stato gestisce molti servizi pubblici ed è presente nei cda che contano grazie all’Ape. Si tratta dell’Agence des participations de l’État, ossia Agenzia delle Partecipazioni dello Stato. Nessuno politico francese ha mai pensato di smantellarla, come abbiamo fatto noi italiani con l’Iri. Non è dunque colpa degli altri se preferiamo darci la zappa sui piedi. Senza auspicare un ritorno ai “panettoni di stato”, il governo non può rimanere con le mani in mano davanti allo smantellamento del nostro sistema industriale. […]

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