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Industria e sviluppo: se persino Stiglitz si piega alle manie “decresciste”

by Lorenzo Zuppini
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Roma, 17 nov – Per ascoltare l’ennesima paternale sulle industrie che fanno male e sul progresso economico, e dunque tecnologico e scientifico, era necessario il premio Nobel per l’economia Jospeh Stiglitz. Sulla Rai, ovviamente, la casa madre di tutte le battaglie politicamente corrette e luogo sacro in cui i pensatori più rispettabili del mondo esprimono le proprie ricette rivolgendosi alla minoranza di illuminati che guarda la restante maggioranza dall’alto verso il basso.

Le argomentazioni confuse di Stiglitz

E’ così che Stiglitz, la cui intervista è stata mandata in onda ad Agorà su Rai 3, interviene a gamba tesa, sebbene con le solite argomentazioni confuse, sulla questione dell’Ilva e del rischio concreto che migliaia di lavoratori rimangano disoccupati.

La sua lettura semplicistica, che giunge alle nostre orecchie giustappunto durante il 30esimo anniversario dell’inizio del crollo dell’Unione Sovietica, parte dal presupposto che la crescita della produttività sia un male poiché essa va di pari passo al progresso tecnologico che porta un’azienda qualsiasi a sostituire i lavoratori con nuovi soggetti robotici. Racconta di venire da una città in cui veniva prodotto acciaio e, tornandoci dopo diversi anni, l’ha trovata devastata per la quantità di disoccupati, appunto perché era possibile produrre la medesima quantità di acciaio con un sesto della forza lavoro.

La conclusione del ragionamento è “rinnovare la nostra economia”, che può vuol dire tutto e niente. Difatti non vi è una alternativa alle questioni, potremmo anche chiamarli problemi, sollevate dall’enorme progresso tecnologico cui giunge il settore imprenditoriale da cinquant’anni circa a questa parte. Si tratta di novità impressionanti e spettacolari che, se da un lato risultano inevitabili perché il loro contrario si chiama regressione e decrescita, dall’altro lato pongono dei giusti interrogativi ai quali però, a quanto pare, neanche un signor nobel per l’economia sa rispondere. Certo, se una qualsiasi azienda agricola cessasse di utilizzare i propri macchinari sostituendoli con esseri umani, essa creerebbe nell’immediato posti di lavoro, e probabilmente ne creerebbe di molti. La sua produttività, però, diminuirebbe drasticamente e con essa verrebbero meno i posti di lavoro del così detto indotto, pensiamo a chi vende i macchinari utilizzati da un agricoltore.

Progresso e tecnologia: non demonizzare la ricchezza

Il progresso economico e tecnologico ha il demerito di aprire nuove strade buie, la cui fine è incerta, ma ha al contempo il merito di presentare sempre nuove opportunità che spesso, di certo non sempre, tendono a sopperire alle mancanze che le nuove vie percorse presentano. Una visione lungimirante a lungo termine non può che essere ostile all’idea peregrina esposta da Stiglitz. La rivoluzione industriale portò alla soppressione delle navi in legno grazie all’introduzione del motore a vapore, che consentì la costruzione e l’utilizzo delle navi in metallo. È ipotizzabile che tale novità non fosse ben vista da chi commerciava il legno, eppure nel corso dei decenni quello sviluppo ha rivoluzionato il settore navale commerciale e militare creando ottime innovazioni anche dal punto visto ambientale: non era più necessario abbattere centinaia di alberi per costruire una singola nave. Non, quindi, una aprioristica idolatria del progresso, ma certamente neanche un’aperta ostilità alla produzione di ricchezza.

La quale, ça va sans dire, non potrà essere omogenea, dunque uguale per tutti i componenti di una nazione o di un continente o del mondo intero. Stiglitz, guarda caso, propone una rivoluzione progressista per impedire che singoli individui “possano arricchirsi sfruttando gli altri ed estraendo la ricchezza dalla rendita piuttosto che cercare di crearla”. Sebbene la sua forma di decrescita comporti una minor creazione di ricchezza, la rendita in sé per sé comporta quantomeno l’aver prodotto della ricchezza poiché, altrimenti, tale rendita non potrebbe esistere. E ad ogni modo, trarre ricchezza da una rendita comporta un volume di domanda che a sua volta porterà alla creazione di nuova ricchezza. Il degrado ambientale che egli denuncia, oltre a suonare come una protesta dei gretini tanto in voga, lo si può affrontare col solo utilizzo di sempre migliori tecnologie che creeranno la possibilità di avere una crescita economica a basso impatto ambientale. Non è un caso che i paesi più inquinanti siano quelli più arretrati tecnologicamente e scientificamente.

L’idea velatamente esposta dal premio Nobel sulla necessità di garantire posti di lavoro, come se ogni posto di lavoro non dovesse più coincidere con la necessità produttiva di un’azienda, puzza di pianificazione centrale per la quale la dinamicità dell’economia verrebbe sostituita con l’immobilismo pianificato. Non a caso Stiglitz se la prende con Trump e con le sue misure che favoriscono l’arricchimento di pochi a svantaggio di molti. Odia il taglio di tasso, odia la deregolamentazione, accusa Trump e la destra in generale di incolpare l’immigrazione di massa dei problemi che affliggono i propri paesi. Sorge però un dubbio, dato che Trump blocca gli immigrati e pone pesanti dazi: non dovrebbero queste misure essere ben viste da un antiliberista come Stiglitz? In realtà, è la mera creazione (ancor prima che l’accumulazione) di ricchezza che è ad egli invisa, probabilmente preferirebbe – anche se lo tace – una regolamentazione fiscale così pesante da spalmare coattivamente tutta la ricchezza prodotta su tutti quei soggetti che non ne producono per niente. La differenza numerica tra chi ne produce e chi non ne produce affatto esiste perché non è imponibile la creazione di ricchezza, poiché essa deriva dal lavoro di un soggetto che ama intimamente quel genere di impegno, quel genere di vita e di rischi quotidiani. Egli, pagando le tasse, aiuterà i meno abbienti e più sfortunati, ma è impensabile bastonare il ceto produttivo per la sua capacità di arricchirsi, poiché se esso cade, vengono meno le fondamenta dello Stato Sociale stesso. Speriamo che Conte, durante le trattative con ArcelorMittal, non si sintonizzi sulla Rai.

Lorenzo Zuppini

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