Roma, 27 feb – L’Italia si conferma un sistema economico decisamente poco attraente per gli investimenti esteri: nel corso del 2015 si sono fermati ad uno scarso 0,7% del Pil, contro il 2% medio registrato nell’Unione Europea.
I numeri emergono da uno studio firmato UHY International, societร di consulenza fiscale che ha analizzato lo stato di salute di 44 fra le maggiori e piรน dinamiche economie mondiali, valutando appunto l’incidenza degli investimenti esteri sul Prodotto interno lordo. Svetta, in cima alla classifica, Malta, che con il 26% supera Singapore (22%) e Olanda (14%). Fra le nazioni paragonabili all’Italia in termini quantitativi e qualitativi, spicca la Spagna al 2,1%, ma ci staccano di misura anche Gran Bretagna (1,8%) e Germania e Francia, entrambe a quota 1,4%. In valori assoluti, l’Italia raccoglie meno di 13 miliardi, la metร rispetto ai 25 della Spagna e decisamente lontana rispetto a Francia (35 miliardi), Germania (46 miliardi) e all’inarrivabile Gran Bretagna, che con i suoi 50 miliardi รจ saldamente prima in classifica.
A pesare, spiega lo studio, รจ soprattutto il sistema fiscale, fra i piรน voraci in Europa ma il cui alleggerimento promette di rendere il paese piรน competitivo. Ammesso che sia davvero cosรฌ. La domanda non รจ peregrina: gli investimenti esteri sono davvero un elemento positivo per l’economia? Sul breve termine, indubbiamente: si tratta di risorse fresche che entrano nelย giro dell’economiaย e sono spesso capaci di attivare un indotto, sfruttare l’effetto leva ed anche creare posti di lavoro. Quasi una manna dal cielo in tempi di disoccupazione a due cifre. Piรน si sposta l’asticellaย in lร con gli anni, perรฒ, piรน i dubbi emergono. Sputare su 13 miliardi – o potenzialmente anche di piรน – puรฒ sembrare schizzinoso, ma bisognaย dare una valutazione sul lungo termine, che รจ poi il vero orizzonte di riferimento per una seria politica economica. Qui i nodi vengono al pettine perchรฉ l’investitore, nonostante la vulgata, non รจ un cavaliere bianco, ma – per usare la terminologia accademica – un agente razionaleย che si attende un (legittimo) ritorno di quanto ‘scommesso’. Chiamiamoli ritorni, redditi, dividendi, fa poca differenza. La vera domanda รจ: dove finiscono questi soldi? All’estero, ovviamente, dove risiede – sia esso persona fisica o persona giuridica – l’investitore. In altre parole: ricchezza creata in Italia, sia pur con capitali stranieri, ritorna oltrefrontiera senza passare dal via.
Lโequazione, a questo punto, รจ scontata:ย piรน investimenti esteri significa piรน debito nei confronti di soggetti non residenti, vale a dire debito estero che prima o dopo andrร ripagato. Ma cโรจ di piรน, perchรฉ se il ritorno complessivo atteso non รจ mai pari ma superiore al capitale impiegato, vuole dire che sui 13 miliardi investiti nel 2015, ci si aspetta che una somma non di poco superiore venga a tutti gli effetti drenata a tutti gli effetti dal sistema economico italiano. E non servono particolari competenze econometriche per capire che si tratta di una perdita netta non indifferente.
Filippo Burla