I mercati finanziari occidentali, insieme a quelli āoccidentalizzatiā nelle loro fondamenta come Hong Kong e Tokyo, hanno reagito con stupore alla mossa della dirigenza cinese. In tempi di deregolamentazione, un interventismo cosƬ deciso spariglia le carte e spande unāombra su di un sistema giĆ instabile di suo, che basta poco per mandare in panico. Alla faccia della razionalitĆ e della presunta capacitĆ di mercati, moneta e commercio di autoregolarsi alla ricerca di un equilibrio dal quale invece ci si allontanerĆ sempre di più.
A furia di delegare ad autoritĆ tecniche e simil-politiche -gli āespertiā- ogni qualsiasi decisione, rimaniamo di stucco di fronte a scelte che affermano con decisione la presenza dello Stato. Abbiamo ceduto la sovranitĆ monetaria con lāobiettivo di garantire stabilitĆ ai prezzi, ma si ĆØ tradotta in deflazione e svalutazione interna. Abbiamo ceduto la politica commerciale e ci troviamo sotto il giogo del dumping sociale delle merci che arrivano dalla stessa Cina e dallāestremo oriente. Abbiamo rinunciato ai controlli sui capitali, cosƬ basta un alito di vento in qualche parte del mondo per polverizzare miliardi nel giro di una sola giornata. Abbiamo deciso di far arretrare lo Stato ed il settore pubblico, con il risultato che da almeno un quarto di secolo non si può più parlare di politica industriale degna di questo nome.
Da più parti, in preda ad una sorta di allucinazione collettiva per una mossa inspiegabile agli occhi di chi non ĆØ più abituato, si ĆØ arrivato a dire che la Cina dovrebbe āfare le riformeā. Un mantra buono da giocarsi quando non si hanno più cartucce. Ammesso che se ne abbiano mai avute. La Cina, insomma, sarebbe una Grecia o unāItalia qualsiasi pronta ad accettare i suggerimenti di Osce e Fmi per aumentare la propria competitivitĆ . Peccato che la strada che ha seguito fino ad oggi -e che nonostante segnali più che preoccupanti sul suo stato di salute, ma lāEuropa ĆØ lāultima a poter parlare in tal senso- sia pressochĆ© nel senso contrario. E soprattutto, stia pagando bene.
Filippo Burla
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