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La prossima bolla sarà verde e noi dobbiamo essere pronti

by Filippo Burla
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bolla verde

Ogni bolla speculativa – che esploda con violenza o «semplicemente» si sgonfi – lascia sempre qualcosa dietro di sé. Al netto delle perdite che registrano gli investitori poco avveduti, ad esempio, quella delle dot-com di fine anni Novanta-inizio Duemila ci ha consegnato le nuove tecnologie informatiche, mentre quella delle criptovalute consegnerà in eredità la tecnologia della blockchain.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di ottobre 2021

La nuova bolla che scalpita sarà, probabilmente, la bolla verde legata la cosiddetta «green economy». Un misto di convinzione ambientalista e speculazione, rintracciabile – tra le altre cose – nell’esplosione dei prezzi della CO2: se da fine 2018 a inizio del 2020 veleggiavano stancamente attorno ai 20-30 euro a tonnellata, dalla fine dell’anno scorso la spinta al rialzo li ha portati oltre il raddoppio. A pesare è la scelta, europea e non solo, di puntare forte sulla decarbonizzazione. Servirà a poco o nulla in chiave «ecologica», non essendo il Vecchio continente responsabile – almeno in maniera sensibilmente rilevante – delle emissioni che si presumono nocive dell’ambiente. Così come le altre bolle, quella verde ha il pregio di mantenere acceso il faro su una battaglia del passato, del presente e del domani: quella per l’accesso alle fonti energetiche.

Eni ed Enel fer fronteggiare la «bolla verde»

Come si presenta l’Italia all’appuntamento? Con due veri e propri «campioni», sul piano sia nazionale che internazionale. Parliamo di Enel ed Eni, leader mondiali del settore. Una posizione di primazia che non li rende tuttavia immuni da tutta una serie di rischi nel futuro prossimo. Questo vale in particolare per Eni che, nonostante un piano industriale orientato a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, è, resta e rimarrà una realtà nel comparto degli idrocarburi. Parliamoci chiaro: dire addio al petrolio quasi da un giorno all’altro significa un bagno di sangue. Non solo per gli utenti, che pagheranno – proporzionalmente molto di più i meno abbienti – bollette salate già a partire dai prossimi mesi, ma anche e soprattutto per le società del comparto. Un lusso che, come nazione, non ci possiamo in alcun modo permettere. Tanto più che Eni, partecipata dallo Stato con oltre il 30%, contribuisce generosamente a puntellare il bilancio pubblico.

Far finire la creatura di Enrico Mattei gambe all’aria solo per inseguire l’agenda «gretina» che la Commissione Ue vorrebbe imporre sarebbe, insomma, una follia. Non che in virtù dell’europeismo dei cervelli mandati all’ammasso non siano già accadute operazioni del genere negli scorsi anni, ma qui si passerebbe veramente il segno. Perché, allora, non far tesoro dell’insegnamento di Giuseppe Verdi, quando diceva «tornate all’antico, sarà un progresso»? In questo caso l’«antico» è il 1962, anno in cui il governo decise per la nazionalizzazione dell’energia elettrica

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