“Andremo avanti finchè non schioderemo il governo”, spiega da Roma il segretario della Cisl, Annamaria Furlan, che spiega come la legge Fornero abbia “alzato di sei-sette anni l’eta pensionabile dei lavoratori e delle lavoratrici. Migliaia di persone si sono trovate senza lavoro e senza pensione”. Ben arrivata, anche se con cinque anni di ritardo. I sindacati sembrano sentirsi mancare un po’ la terra sotto i piedi: in tutto questo tempo la Lega Nord è stata forse l’unica a battagliare contro i continui scippi ai danni dei lavoratori, mentre i rappresentanti dei lavoratori (o sedicenti tali) dimostravano un’acquiescenza molto vicina all’ignavia. Rimarrà nella storia, ad esempio, l’atteggiamento di alcuni ex Cgil, seduti fra i banchi della maggioranza, che un giorno manifestavano contro il Jobs Act e il successivo votavano a favore della riforma. Non c’è da meravigliarsi se la “triplice” è in caduta libera di iscritti (la sola Cgil ha perso dal 2014 al 2015 qualcosa come 700mila tessere), principalmente giovani e precari, mentre aumenta la quota dei pensionati.
Ecco spiegato, allora, il perché del focalizzarsi su una specifica categoria, lasciando quasi perdere le altre. “Ci possono essere varie proposte – continua la Furlan – come ad esempio combinare contributi ed età anagrafica o stabilire che dopo 41 anni di contributi si può andare in pensione”. E ancora: “Non se ne può più che ogni volta che il Paese ha bisogno di risorse si incide sui lavoratori: ci sono 150 miliardi di evasione fiscale e 50 di costi della corruzione. Qualcuno deve trovare le risorse per fare andare in pensione ad una età decente”.
Filippo Burla