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Stimoli fiscali e palliativi, ovvero come si combatte davvero la crisi economica Covid

by Claudio Freschi
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Roma, 3 apr – Il Presidente degli Stati Uniti ha firmato da qualche settimana fa il “Coronavirus Relief Package” ovvero una manovra di politica fiscale che ammonta a circa 1.900 miliardi di dollari, una delle più grandi della storia americana. A questi aggiungiamo poi gli oltre 900 miliardi di dollari che il Congresso americano ha approvato a dicembre 2020. Rendendo così gli Stati Uniti la nazione al mondo che più ha speso per combattere la crisi provocata dal Covid. Le misure comprendono fra le altre cose la proroga dei sussidi di disoccupazione, espansione del credito d’imposta, pagamenti diretti di 1.400 dollari a persona, aiuti a Stati e governi locali, scuole e ricerca medica.

Certo stiamo parlando della più grande economia del mondo e molti diranno che anche l’Europa non è stata a guardare. Non passa giorno che non ci vengano ricordati i famosi 209 miliardi che dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, spettare all’Italia come parte del Next Generation Eu. Meglio conosciuto come Recovery Fund.

Gli stimoli non sono tutti uguali

Le differenze, oltre che numeriche, sono sostanziali. La prima che salta all’occhio è che la politica fiscale americana può essere definita come “un pagamento in contanti”. Vale a dire una immissione diretta di liquidità nel sistema. La quale potrà essere utilizzata da un lato per migliorare il sistema, dall’altro per stimolare la domanda aggregata e far ripartire spese, produzione e lavoro.

Nel caso europeo, ed in particolare in Italia, le cose sono ben diverse. Dei 209 miliardi (erogabili in 6 anni) ben 127 sono prestiti. Denaro che l’Italia dovrà quindi restituire all’Europa: debito pubblico a tutti gli effetti. I denari necessari a questi rimborsi saranno sottratti ad investimenti produttivi, o ancora trovati attraverso una maggiore imposizione fiscale o ulteriori tagli alla spesa pubblica.

Dalla crisi Covid alla nuova austerità?

Perché non dobbiamo dimenticarci che, una volta finita l’emergenza sanitaria, l’Eurogruppo chiederà agli Stati di “perseguire politiche fiscali prudenti, assicurando la sostenibilità del debito”. In pratica ci chiederanno di continuare a tagliare la spesa pubblica oppure di aumentare le tasse per finanziare l’intero progetto Next Generation Eu. Ogni nuova spesa dovrà passare per il vaglio di Bruxelles, con tanti saluti a quel minimo di sovranità economica e politica che ci era rimasta.

Certo il debito sarà contratto con l’Unione Europea, ma il famoso vantaggio dato dai tassi di interesse più convenienti rispetto a quelli di mercato è assolutamente marginale. Inoltre, proprio come è stato dimostrato dalla pandemia, è la Bce a determinare i tassi di interesse attraverso acquisti e vendite di titoli sul mercato. Tecnicamente l’eurotower sarebbe in grado di portare i tassi di interesse sui nostri titoli di Stato a qualsiasi livello. In pratica l’Unione Europea ci sta dando la soluzione per un problema da lei stessa creato, ovvero la mancanza di una vera e propria banca centrale.

La favola della potenza di fuoco

I restanti 82 miliardi andrebbero per correttezza calcolati al netto dei contributi italiani al bilancio europeo. Anche considerando esclusivamente i 390 miliardi di “grants” europei, questi verranno suddivisi in base al Pil delle singole nazioni rispetto a quello europeo. Nel caso italiano circa il 13%. Parliamo di 50 miliardi nei prossimi 6 anni, a cui aggiungere i versamenti al normale bilancio europeo, dove l’Italia è da sempre contribuente netto. I più pessimisti ritengono quindi che almeno altri 20 miliardi usciranno dalle casse italiane per entrare in quelle europee. Al netto di tutto parliamo quindi di una manovra di circa 10 miliardi da spalmare in 6 anni. Briciole.

Ma anche volendo considerare tutti gli 82 miliardi un vero trasferimento a fondo perduto, staremmo parlando di cifre comunque esigue: 16,4 miliardi l’anno, pari allo 0,86% del Pil nazionale. Dato che lo stimolo fiscale americano ottenuto sommando tutti gli interventi effettuati da inizio pandemia, va ben oltre il 20% del Pil statunitense, non faremo fatica a capire come da un lato si provi a “vaccinare” economicamente una nazione, dall’altro per combattere la crisi Covid si somministri un bel bicchiere di acqua fresca sperando che “vada tutto bene”.

Claudio Freschi

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