Terni, 10 ott – Un mese di discussioni, promesse, speranze. Tutto inutile. Sindacati e azienda, seduti al tavolo del ministero dello Sviluppo, non hanno trovato la quadra sul piano di ristrutturazione. E’ così saltata la trattativa per Ast, storica acciaieria ternana, proprietà del gruppo tedesco ThyssenKrupp.
Le conseguenze alla rottura del dialogo non si sono fatte attendere. L’azienda ha infatti avviato le procedure di mobilità per 550 dipendenti e, con effetto immediato, cancellato tutti gli accordi di secondo livello. La rescissione unilaterale dei contratti aziendali comporterà, per chi non è destinatario delle lettere di licenziamento, una riduzione di circa il 20% dello stipendio. Questa decisione è stata presa «in relazione alla nota crisi del mercato siderurgico, alle gravi ricadute produttive, all’ottimizzazione dei costi». Una sorta di clausola di salvaguardia qualora la trattativa -come è accaduto- non dovesse arrivare a buon fine.
Non si sono fatte attendere le reazioni al colpo di mano di Ast. I lavoratori hanno immediatamente proclamato lo sciopero, tenendo un’assemblea davanti ai cancelli della fabbrica, presidiando la sede della prefettura ed arrivando fin ad occupare pacificamente la stazione ferroviaria. Matteo Renzi invece, dopo aver espresso i punti cardini della proposta del governo: «E’ fondamentale che il forno resti acceso e che la seconda struttura non venga chiusa»; ora si dice «terrorizzato per Terni» e promette di lavorare «nei prossimi tre mesi prima che accada irreparabile».
Nel frattempo continua il pressing sia su Piombino che sull’Ilva di Taranto. Entrambi gli stabilimenti sono destinati a passare di mano, con i gruppi indiani Jindal e Mittal in prima fila e pronti ad aggiudicarsi l’acquisto.
La situazione del settore siderurgico nazionale, più che di crisi, può ben essere definita vicina al tracollo. E probabilmente non basteranno i “prossimi tre mesi” di Renzi per trovare una via d’uscita. Le politiche industriali hanno visioni di medio-lungo termine, oltre ad investimenti sosostenuti -in via diretta o indiretta- dallo Stato. Tutti elementi che, ad oggi, non trovano cittadinanza nell’agenda del governo.
Filippo Burla
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