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A Kobane si combatte ancora: il sacrificio di Arin e delle combattenti curde anti-Isis

by La Redazione
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Arin Mirkan

Kobane, 7 ott – Si combatte ancora a Kobane. Dopo che l’Isis ha conquistato il settore est, la battaglia si è ora spostata ad ovest e a sud, mentre nel centro della città sventola ancora la bandiera curda.

E’ proprio a Kobane, città al confine tra Siria e Turchia, che si è compiuto il sacrificio di Arin Mirkan, comandante della Ypg (unità di protezione popolare curda), fattasi saltare in aria accanto a una postazione nemica. Arin, una volta terminate le munizioni ha distrutto con l’attacco suicida -compiuto anche per non finire in mani Isis – un mezzo blindato uccidendo venti miliziani delle forze fedeli al califfato islamico.

Non finire vivi nelle mani dell’Isis è uno degli imperativi di questa resistenza, forse disperata, dei curdi a Kobane. E lo è, comprensibilmente, soprattutto per le combattenti donne.

Sarebbe fortunatamente ancora viva, secondo fonti vicine all’Ypg, Ceylan Ozalp, altra combattente curda che una notizia rilanciata pochi giorni fa da tutti i media internazionali aveva invece riportato come suicidatasi utilizzando l’ultima pallottola per se stessa dopo aver finito le munizioni.

Era stata proprio Ceylan a raccontare in un documentario mandato in onda dalla Bbc alcune settimane fa la particolare rabbia e agitazione provata dai miliziani dell’Isis quando si imbattono con combattenti curdi di sesso femminile:  “Quando vedono una donna con una pistola, iniziano a tremare. Essi si presentano al mondo come ragazzi duri. Ma quando ci vedono con le nostre pistole scappano. Vedono una donna come qualcosa di insignificante. Ma una delle nostre donne vale un centinaio dei loro uomini”.

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Ceylan Ozalp

E’ una storia, quella delle donne curde che combattono contro l’avanzata dell’Isis, che viene raccontata anche per immagini, alcune delle quali vi proponiamo in appendice, nel blog tumblr m4zlum.

Nella notte intanto in molti quartieri di Istanbul si sono svolte manifestazioni di protesta contro il colpevole dell’immobilismo del governo turco di fronte all’assedio.

Da giorni, infatti, 10.000 soldati e decine di carri armati turchi sono schierati lungo il confine con la Siria, a meno di un km da Kobane, ma non e’ stato dato l’ordine di intervento, mentre i volontari curdi combattono – e muoiono – in città’ contro le milizie jihadiste dello Stato islamico. Il governo ha più’ volte dichiarato di non essere intenzionato a far cadere l’enclave nelle mani dei jihadisti e che la Turchia rimane saldamente unita alla coalizione anti-Isis. Intanto pero’ la gendarmeria turca controlla da due settimane la frontiere per impedire l’arrivo di armi e aiuti umanitari alle milizie curde e ai cittadini di Kobane.

Un immobilismo che peraltro non riguarda solo il paese di Erdogan.  Come recitava una vecchia canzone non conforme, mentre Kobane brucia e l’Isis avanza Il mondo è rimasto a guardare sull’orlo della fossa seduto”.

Cristiano Coccanari

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