Roma, 18 Ago – Se dovessimo rappresentare quanto sta in queste ore accadendo attorno e dentro la Siria di Bashar al Assad con una pellicola holliwoodiana avremmo un problema. Ci troveremmo a suddividere, come da consuetudine, i buoni dai cattivi ricorrendo a quelle tecniche cinematografiche tanto in voga nei film di guerra d’oltre oceano dove gli eroi, quasi esclusivamente provenienti dal “mondo libero” targato Usa, indossano Ray-Ban lucidi, divise impeccabili e impugnano armi occidentali, siano esse i fumanti revolver Colt di John Waine o il mitragliatore M-60 di John J. Rambo. I cattivi va da se, usano (male) armi sovietiche e divise stracciate, parlano rudi lingue esotiche e alla fine perdono sempre condannati ad essere l’eterna macchietta di loro stessi. Ma che succede se i cattivi si mettono insieme e cominciano a fare i buoni? E se domani sullo schermo apparisse un cattivo più cattivo ancora sarebbero ancora loro gli antagonisti dell’occidente? Metafore di celluloide a parte la realtà oggi si avvicina molto a questo, alle porte del sesto anno di guerra in Siria si è andata delineando una nuova cordata che vede “big player” come la Russia e l’Iran fare da capofila a entità di minor cabotaggio, ma di non minore rilevanza, come l’Hezbollah libanese i volontari palestinesi e i miliziani sciiti iracheni, fino ad arrivare, nelle ultime ora ad incassare l’appoggio -concordato con Damasco- di un nuovo grande giocatore regionale, che latitava da molti anni nelle vicende geopolitiche del nostro vicino oriente, la Cina.
La notizia ha fatto il giro del mondo perché costituisce un fattore di totale rottura degli equilibri legati alla stabilizzazione o alla destabilizzazione, dipende da chi legge, della regione siro-irachena. Le forze armate cinesi forniranno assistenza e addestramento al governo siriano. Una delegazione militare cinese guidata dal contrammiraglio Guan Youfei, direttore della cooperazione internazionale presso la Commissione Militare Centrale, ha incontrato domenica scorsa a Damasco, Fahd Jassem al-Freij, vice-primo ministro e ministro della difesa siriano. L’accordo raggiunto prevede l’assistenza cinese in materia di addestramento e aiuti umanitari, e l’agenzia di stampa Xinhua ha comunicato che l’accordo punterà anche “sul rafforzamento della formazione del personale” e che “le Forze armate cinesi hanno offerto aiuti umanitari in Siria”. Tanto è bastato per creare qualche cruccio a Washington, che però nel giro di qualche ora ha incassato un nuovo secondo durissimo colpo, quando la repubblica islamica dell’Iran ha comunicato d’aver concesso ai bombardieri russi la base aerea di Hamadan, nel nord ovest del paese, da cui poter partire per attaccare le postazioni del fronte terroristico in Siria. John Kerry, segretario di stato Usa, ha espresso “preoccupazione” al ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, per la concessione iraniana che ha di fatto piazzato il potenziale aereo russo al centro dello scacchiere. “Un fatto che complica una situazione già complessa”, per Mark Toner portavoce del dipartimento di stato, che solleva il dubbio su una possibile ”violazione della risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza dell’Onu“, quella in materia di aiuti militari all’Iran. A dissipare ogni legittimo dubbio è intervenuto il senatore russo Kosachev che su facebook ha puntualizzato che: ”Nel paragrafo cinque dell’allegato B della risoluzione, si afferma che se la fornitura di equipaggiamenti militari all’Iran è fatta, e cito, ‘all’Iran perché l’Iran ne faccia uso o ne tragga beneficio’, in tal caso sarebbe necessaria una previa approvazione del Consiglio di sicurezza. Ma lasciatemelo chiedere: cosa ha a che fare questo con il fatto che i caccia russi utilizzino la base situata sul territorio iraniano per effettuare raid aerei contro lo Stato Islamico e Jabhat Nusra (noto ora anche come Jabhat Fatah al Sham) nelle provincie siriane di Aleppo, Deir ez-Zor e Idlib?”. A questo va aggiunto che da quando la base è in concessione alle ali russe – un battaglione di sei Tu-22M3 e di quattro Su-34– più di 150 terroristi sono rimasti uccisi dai raid degli Su-34 fra cui anche diversi foreign fighters e , nei raid del 17 agosto, ben due posti comando dell’Isis nella provincia di Deir ez-Zor.
L’accordo sulla base aerea risolve un gravoso problema che fino ad ora l’aviazione russa non era riuscita a superare, infatti, i bombardieri lungo raggio Tu-22M3 di Mosca erano dovuti decollare dall’aeroporto di Mozdok, nell’Ossezia del Nord e dovevano seguire una stretta rotta sul Mar Caspio poi in Iran, Iraq, e infine sulla Siria macinando circa 5.000 km tra andata e ritorno e dovendo così rinunciare a buona parte del tonnellaggio di carico esplodente per riempire al massimo tutti i serbatoi. Lo conferma anche il presidente del Centro internazionale di analisi geopolitica, il colonnello generale in congedo Leonid Ivashov che ammette che con l’accordo sull’utilizzo della base di Hamadan si sarebbe “aumentato di almeno tre volte l’efficacia dei voli dell’aviazione a lungo raggio”. E che: “ Ora ogni bombardiere Tu-22M3 può trasportare 20 tonnellate di testate e può colpire dai 4 ai 5 obiettivi durante il volo”. Per l’analista militare Ilya Kramnik “Il trasferimento dei Tu-22M3 e dei Su-34 in Iran non significa un ritorno delle forze armate russe in Medio Oriente”, bensì, “di una mossa strategica e di un rafforzamento qualitativo delle forze aerospaziali per il mantenimento del numero di velivoli impiegati nelle operazioni”. L’obbiettivo è senza ombra di dubbio Aleppo, centro della battaglia tra il governo siriano e i terroristi che nelle ultime settimane hanno incrementato vertiginosamente il numero degli attacchi suicidi contro le postazioni siriane. Mosca e Teheran fino ad oggi avevano mantenuto rapporti cordiali basati principalmente su un’ interscambio militare basato sullo schema fornitore-acquirente che ora potrebbe mutare in una vera e propria cooperazione. Se è vero che la Russia, anche grazie all’acuirsi della crisi ucraina, aveva perduto interlocutori validi ad ovest, paesi Ue in primis, è vero anche che, mai come oggi, l’attenta politica mediorientale di Mosca l’ha portata ad essere una potenza chiave in materia di sicurezza e stabilità nella regione.
Con Cina, Iran e Russia che remano, per ora, tutte nella stessa direzione i pronostici sulla Siria sembrano tutti da riscrivere anche alla luce degli interessi strategici che ognuna di queste tre potenze ha in Siria, la Cina per esempio da anni sta procedendo sulla strada dello “sguardo ad est” che l’ha portata a investire pesantemente in Africa, ad intervenire come forza d’interposizione militare e diplomatica in Sudan, ad investire in Giordania a settembre al 2015 con oltre sette miliardi di dollari in trasporti sviluppo energetico e telecomunicazioni e a trattare con i reami del Golfo in materia d’energia. Inoltre il gigante cinese da qualche anno opera nel Kurdistan iracheno dopo che l’impresa di stato degli idrocarburi cinese Sinopec Group nel 2009, ha comprato la Addax Petroleum, mettendo le mani sui giacimenti di Taq Taq nel nord dell’Iraq. E proprio qui si apre una nuova variabile nello scenario futuro, quella cioè legata al destino della compagine territoriale del Kurdistan che dalle coste siriane si dovrebbe incuneare, secondo i curdi, fino in Iran passando per l’Iraq, unica nazione dove per ora esiste un’entità politica curda de facto. I principali partiti curdi oggi sembrano giocare su molti tavoli diversi e conservare rapporti e strategie differenti a seconda delle opportunità che la guerra totale nel vicino oriente offre loro, in Siria l’YPG e il PDKS non mantengono rapporti idilliaci tanto che qualche giorno fa il leader del PDKS Salah Mhammad Saïd Yunus, è stato arrestato dalle forze dell’YPG, motivo recondito dell’acredine l’affiliazione del YPG al PKK turco, nemico giurato di Ankara e di Erdogan e la vicinanza politica del PDKS con i curdi iracheni di Mas’ud Barzani grande estimatore invece del presidente turco a cui ha concesso anche alcune basi militari nel territorio iracheno sotto il suo controllo.
I curdi saranno la vera incognita della nuova fase della guerra in Siria, intanto nella provincia di Al Hasakah, nel nord est della Siria, hanno attaccato l’esercito regolare siriano arrestando, addirittura, alcuni comandanti locali dimostrando quanto l’esito di questa guerra sia legato tanto al terreno siriano quanto ai tavoli segreti che si aprono e si chiudono lontano dal crepitare dei mitragliatori.
Alberto Palladino
1 commento
Ottimo articolo, complimenti.