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Il cessate il fuoco in Siria salva solo Obama

by Alberto Palladino
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130425115505-08-mourner-in-chief-super-169Damasco, 24 Feb – E’ come se, mentre la vostra casa va a fuoco, voi vi prodigaste disperatamente per salvare le fioriere del giardino, per chi vi vedesse dall’esterno sembrereste realmente interessati a salvare il salvabile ma, alla fine, cosa avreste ottenuto? La casa che va a fuoco, ovviamente in maniera figurata, è la Casa Bianca a Washington e si porta appresso, nel crollo, l’intera credibilità del presidente Obama in materia di sicurezza globale e strategia geopolitica. L’accordo raggiunto a Monaco e chiuso successivamente con un colloquio telefonico tra lo Zar Putin e il presidente americano, su un cosiddetto cessate il fuoco in Siria, fa acqua da tutte le parti. In primis al tavolo delle trattative ancora non si è raggiunto un punto comune sulla identificazione delle formazioni terroristiche che operano in Siria e non perché esse siano di difficile individuazione, considerate che molte di esse si sono da tempo dotate di canali social e video, ma perché ognuna di queste bande, grandi o piccole che siano, ha un suo preciso “sponsor” o “tutor” internazionale che non vuole vedere la sua pedina finire nella parte della lavagna destinata ai cattivi. Un passaggio non da poco considerando che la “lista nera” delle formazioni armate che operano nella Repubblica Araba di Siria è ad oggi abitata quasi esclusivamente dal Fronte Al Nusra e dall’Isis, destinatari dei bombardamenti russi fatti proprio in base alla priorità comune di Russia, Siria ed Iran, di colpire le multinazionali del terrore prima che diventino superpotenze, magari con l’aiuto di qualche agenzia di sicurezza globale.

Quindi, il primo punto oscuro che mina la credibilità dell’accordo è esattamente questo: Chi è un terrorista? Secondo Luca Coffey, ricercatore Syria_Kurds(1)_51ff7543c651bspecializzato in sicurezza transatlantica e eurasiatica ed ex consigliere speciale del segretario alla difesa britannico, nonché ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti, il cosiddetto International Siria Support Group (ISSG), non ha uno straccio di accordo in merito. In un suo recente articolo su Aljazeera, Coffey afferma che questa indecisione, fino ad ora è stata la “scappatoia” per Putin per bombardare i terroristi attorno alle città strategiche siriane, Aleppo su tutte, e così facendo sostenere l’azione di liberazione e messa in sicurezza del esercito siriano. Ma, senz’altro è anche la “scappatoia”, per dirla con Coffey, di Erdogan per continuare a bombardare i curdi dell’YPG, cosa che fino ad ora non sembra aver suscitato la levata di scudi e gli strali di sdegno che le potenze occidentali hanno invece riservato per Assad, “colpevole” di condurre una guerra, come va fatta, contro quella che oramai da tutti è definita la più grande offensiva terroristica che la storia ricordi.

Il caso dei curdi dello YPG ha poi dell’assurdo e sottolinea chiaramente quanto sia caotica la situazione sul terreno. Lo YPG è l’ala armata del Partito Democratico curdo-siriano PYD. Allo stesso tempo le sue milizie combattono l’Isis e alcune altre formazioni ribelli in Siria, quindi in teoria aiutano Assad e ostacolano chi supporta i ribelli (tutto il mondo a guida Usa compresa Italia), ma combattono anche le forze siriane appoggiate dai russi, quindi si ribalta lo schema che in questo caso li vede in linea con l’azione di Isis, Al Nusra e Turchia, quest’ultima impegnata in una caccia spietata, da anni, contro i curdi in patria e oltre confine e da qualche mese in piena rotta di collisione con la Russia dopo aver deliberatamente abbattuto un Su-24 che aveva sconfinato per dieci secondi in territorio turco ma, che più probabilmente stava colpendo con troppa insistenza le postazioni dei ribelli pro turchi a ridosso del confine.  A tutto ciò va aggiunto, per amor di cronaca, il ricordo tragico della storia di questi cessate il fuoco, una storia fatta di annunci roboanti e appelli alla pace puntualmente smentiti, sacrificati sull’altare della realpolitik e degli interessi strategici o economici. Per citarne alcuni va ricordata la storia triste del tavolo di pace sull’Ucraina, il cosiddetto Minsk II, i cui lavori si svolgevano proprio mentre infuriava una delle battaglie più feroci della secessione ucraina, quella per il controllo dell’importantissimo snodo ferroviario di Debaltsevo che, in barba al cessate il fuoco raggiunto al tavolo il 15 febbraio, venne conquistato e occupato dai filo-russi che continuarono a combattervici fino al 18 dello stesso mese.

CbLcjerWIAEmMp0Il punto cruciale ora sembra essere Aleppo, in Siria, la città costituisce una vera svolta nella conduzione della guerra perché rappresenta uno step politico e simbolico importantissimo e perché fino ad oggi è stata la più grande città in mano dei terroristi, che ora subiscono gli attacchi dell’esercito siriano e i bombardamenti russi. Per il presidente Assad la presa d’Aleppo costituirebbe una certificazione di solidità e credibilità, sopratutto interna, che lo nominerebbe de facto unico e legittimo garante dell’integrità della nazione siriana e il difensore del suo popolo, mentre getterebbe i “tutor internazionali” del fronte terrorista ancora più nel caos, andando ad aggiungere una pesante sconfitta, sul già affollato tabellone delle perdite. Va ricordato infatti che la Turchia ha giocato una partita geopoliticha e militare pessima, che ora la vede totalmente isolata e impotente con le lanciamissili russe, gravide di S-400 a largo di Tartous, ad inibire qualsiasi sorvolo in territorio siriano e l’impossibilità di blindare i Dardanelli, vincolati da un’ accordo internazionale che garantisce, ironia della sorte, proprio ai russi l’accesso al Mediterraneo e che lascia ai turchi solo il triste onere di limitarsi a fotografare la sequela di navi militari russe in transito. Certo Erdogan continua a far sparare la sua artiglieria dalla Turchia in territorio siriano, ma i successi dei siriani nella zona, e la riconquista ormai in via di completamento, della regione di Latakia e del confine nord sono il segno evidente dell’inutilità dell’azione. L’altro paese che naviga a vista, stordito dalle fortune avverse in tutti i teatri operativi in cui si era cimentato, è l’Arabia Saudita, orfana di un leader di polso e impantanata nel suo “piccolo Vietnam” Yemenita, dove le forze legittimiste e patriottiche sciite, con l’aiuto più o meno diretto della Repubblica Iraniana, arrivano oggi addirittura a sconfinare in territorio saudita, ad affondare le navi saudite e a colpire i quartier generali avanzati, in cui puntualmente vengono trovati corpi di mercenari stranieri e di alti ufficiali sauditi ed emiratini.

Il fattore generale di questa crisi dei paesi “amici degli Usa” Vladimir_Putin_and_Sergey_Lavrov_Kremlin_21_May_2015nel Vicino Oriente è di sicuro un depotenziamento storico dell’influenza Usa nella regione, con un Obama che non ha saputo o voluto, procedere sulla strada troppo conservatrice dei suoi predecessori bellicosi (si pensi alla gestione sull’Iraq dei Bush) e non ha saputo reggere l’offensiva politica della Russia che, invece, in campo schiera due campioni del duello geopolitico come Lavrov e Putin. Questa vuoto politico ha portato la Turchia e l’Arabia Saudita a poter pensare che era arrivato il momento di regolare alcuni conti interni alla regione e che l’assenza del controllore avrebbe garantito una piccola ma utile autonomia di gestione oggi rivelatasi disastrosa. In tutto ciò Israele non da segnali di vita, impegnato, all’interno, con la gestione della questione palestinese e incastrato giornalmente dalle atrocità commesse dal suo esercito sulla popolazione araba e, forse,  alle prese con un ricalcolo della sua strategia locale che potrebbe vedere “la terra promessa” passare da testa di ponte occidentale in Medio Oriente a ostaggio occidentale dei paesi Mediorientali che oramai, detengono una “pericolosa” sufficienza militare nel campo, per esempio, della missilistica strategica, arma di fortissimo ricatto per Israele che in caso di aggressioni, anche terze, nei confronti dei paesi dell’asse della resistenza –Iran, Siria, Iraq, Hezbollah– potrebbe diventare il bersaglio di rappresaglia di questi paesi, per deterrenza nei confronti dell’aggressore, specialmente se americano.

iranarsenal_280909Per concludere a partire dal 27 di questo febbraio del 2016 dovrebbe entrare in vigore il cessate il fuoco di Obama, che non si applicherà, come Putin ha detto, ai due maggiori gruppi terroristici che hanno il controllo dell’80% delle forze sul terreno, e che comunque non farà cessare l’offensiva delle altre formazioni ai danni dello stato siriano, che in caso d’attacco sarà autorizzato a rispondere. Un pasticcio diplomatico giocato in difesa da Obama, che voleva solo un titolo da dare ai giornali, in cambio di un po di tregua sulla disastrosa campagna elettorale “Dem” e sulla gestione dei temi caldi della sua politica sociale insabbiata e osteggiata da più parti. Tuttavia questo accordo potrebbe rivelarsi anche un pericoloso “trappolone” politico nel caso in cui, in maniera artefatta o no, un domani qualcuno tirasse fuori “prove inconfutabili“- stile armi di distruzione di massa di Saddam o fosse comuni di Gheddafi – di una palese violazione di Assad, che fino ad ora è stato più che corretto nella gestione della guerra (con ben cinque amnistie all’attivo per chi depone le armi) ma che non è mai al riparo dalle trame delle lobby internazionali impazienti di mettere la sua testa su un trofeo al fianco di quella degli altri “cattivissimi” presidenti.

Alberto Palladino

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1 commento

Pierpaolo 25 Febbraio 2016 - 9:48

In effetti, le proccupazioni di Obama sono la campagna elettorale di Trump e gli isolotti artificiali nei mari cinesi.
A Kerry occuparsi dell’operazione cosmetica per non rendere troppo appariscente la débâcle nel Vicino Oriente.

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