Budapest, 2 sett – Da alcuni giorni stiamo assistendo all’accerchiamento mediatico nei confronti dell’Ungheria dipinta come fosse un nido di egoismo e nazionalismo becero.
Era dai tempi dell’invasione dell’Armata Rossa, che sedò la rivoluzione anti sovietica, che non si sentiva parlare così tanto dell’Ungheria. Oggi si sprecano le prime pagine e i fiumi d’inchiostro. E il motivo è presto detto: l’immigrazione intesa dal bon ton politico dominante non ammette critiche e condanne. Chi non si allinea viene additato al pubblico ludibrio.
Perchè dopo aver consolidato l’autostrada mediterranea che trasporta migliaia di clandestini ogni giorno, i trafficanti di uomini hanno aperto una nuova via attraverso l’asse balcanico. Una via che parte dalla bucherellata Grecia e dalla doppiogiochista Turchia per entrare nell’Unione europea da sud est.
Quel che arriva da Romania e Bulgaria non fa notizia, agli occhi indignati del buonista europeo interessano solo muri e fili spinati.
Quello steso sulla frontiera serbo-ungherese (circa 200 km scarsi) ha creato un allarme sproporzionato e malizioso. La provincia serba che confina con l’Ungheria è la Voivodina, un’area a forte presenza magiara e per questo divenuta autonoma su riconoscimento del governo di Belgrado. Tra l’Ungheria del sud e la Serbia del nord non ci sono grosse differenze culturali. Tutta quest’area che possiamo allargare fino alla Transilvania fa parte di quella porzione d’Europa che fu terra di confine fino al diciassettesimo secolo facendo i conti con l’espansione turca e pagandone spesso le conseguenze con il sangue.
Sulla scorta di quanto appena detto appare ridicola qualsiasi accusa fatta nei confronti degli ungheresi dipinti dai benpensanti come costruttori di muri e cattivoni che non aprono le loro frontiere alla disperazione di chi cerca asilo.
La decisione del governo ungherese invece va letta viceversa alla luce di un’esigenza pratica. Tutta la regione al confine con la Serbia è agricola e pianeggiante. Gli spostamenti sono veloci – anche grazie ad una autostrada, una ferrovia ed un affluente del Danubio – e senza ostacoli. Nella totale assenza di una politica comune europea, Budapest si limita a fare quello che qualsiasi nazione sovrana dovrebbe fare: difendere i confini.
E così oggi ci si indigna per del filo spinato posto sul confine serbo, ma si sorvola sul muro che divide il Texas dal Messico. Potenza di un’informazione asservita ai poteri forti.
In realtà c’è anche dell’altro. L’Ungheria è già da tempo sul banco degli imputati e le ragioni sono tutte politiche. Il governo di Budapest è il principale ribelle in seno all’Ue che si contrappone alla macchina di integrazione bancaria filo tedesca.
Il capo del governo magiaro, Viktor Orban e il suo partito Fidesz sono l’antitesi del politicamente corretto europeo. Nemmeno l’Austria di Haider riuscì ad essere così tanto odiata.
Il filo spinato posto sul confine serbo è solo l’ultimo dei pretesti alimentati artificialmente. Le politiche magiare a favore della famiglia tradizionale, sulle adozioni e sui diritti di coppia sono state avversate a Bruxelles così come le modifiche apportate alla Costituzione dal 2011 e il controllo politico operato sulla banca centrale ungherese. A completamento della lista, il governo Orban ha posto il partito comunista fuori legge e oggi guarda con interesse crescente alla Russia di Putin. Inaccettabile per le istituzione europee asservite agli interessi statunitensi e per la stessa Nato che in Ungheria ha qualche base militare.
L’Ungheria vuole invece esistere e lo fa riconoscendosi in un’identità. E un’identità per sopravvivere ha bisogno del mantenimento.
Quelli che invece oggi si indignano, i benpensanti, i buonisti da salotto, sono gli stessi che nel ’56 si girarono dall’altra parte mentre i carri sovietici sedavano nel sangue le istanze di libertà di chi voleva conservare la propria identità.
Giuseppe Maneggio
Immigrazione, l'identità ungherese si scontra con un'Europa nulla
141
1 commento
beh Orban o non Orban, ogni muro è stato scavalcato e superato. Anche l’Ungheria. Nessun argine frena un fiume in piena. La strada per la Germania è ora aperta.