Roma, 3 apr- Nei principali media internazionali che si occupano della questione siriana da ieri è rimbalzata la notizia che l’Isis avrebbe conquistato militarmente un’importante avamposto a pochissimi chilometri da Damasco a Yarmouk.
Si tratta, in realtà, di quello che nacque come campo profughi palestinese nei lontani anni della Nakba (esodo palestinese) e che ad oggi si presenta trasformato nel tempo e nelle strutture come una vera e propria borgata con più di 150 mila abitanti censiti prima del conflitto. La storia di questo campo nei quattro anni di conflitto è stata travagliata e ha conosciuto il suo momento più tragico nel 2012 quando i terroristi islamisti lanciarono l’assalto alla capitale e il campo divenne una roccaforte per i principali gruppi ribelli Al Qaeda, Al Nusra e gruppi palestinesi loro fiancheggiatori (come Ankaf Beit Al- Maqdis, vicino ad Hamas). In quel periodo l’esercito regolare della repubblica araba di Siria riuscì a ricacciare indietro i terroristi e circondò il campo senza però entrarvi per evitare spargimenti di sangue della popolazione dei profughi presenti in esso e limitandosi a controllarne i punti di accesso.
Circondato e isolato l’ex campo profughi palestinese, ora vero e proprio sobborgo, iniziò una feroce escalation di regolamenti interni dovuti al tentativo di egemonizzare la gestione politica e militare che vedeva gli stessi gruppi ribelli uccidersi fra loro.
Episodio chiave del conflitto interno alle forze ribelli, l’uccisione, pochi giorni fa, del medico di Hamas Yahya Al-Hourani, segno evidente della perdita di terreno della formazione legata ai Fratelli Mussulmani e dell’ascesa di quelle salafite qaediste. Dall’inizio del conflitto, effettivamente, l’Isis è presente nel campo con numerose cellule di reclutamento e squadre d’azione ma che sono state formate non con una conquista militare avvenuta dall’esterno, bensì con una drop strategy o, per usare un termine commerciale, tramite l’apertura di franchising, con gruppi appartenenti ad altre formazioni che hanno in seguito giurato fedeltà al Califfo e innalzato la bandiera nera dello Stato Islamico: non ultimi proprio quegli ex appartenenti ad Al Qaeda e Al Nusra.
La notizia di ieri allora ha bisogno di essere chiarita e contestualizzata e soprattutto ha bisogno di essere disinnescata.
Con i bombardieri della coalizione dei paesi del Golfo, degli Usa e dell’Arabia Saudita che sorvolano il territorio siriano per colpire le basi dell’Isis, dichiarare che oggi quest’ultimo sia a sette chilometri dal palazzo presidenziale diventa un pericoloso gioco di equilibri. Considerata infatti la volontà sempre latente della coalizione di distruggere il legittimo governo siriano di Bashar al Assad e conoscendo bene la scarsa precisione di alcune bombe cosiddette “intelligenti”, si può pensare che chi ha lanciato questa notizia volesse portare l’attenzione di qualcuno su Damasco fornendo un bersaglio utile sia per colpire l’Isis, sia per sconfinare sui cieli della capitale di Siriana.
Questa non è la solita teoria complottistica ma, considerato anche l’appoggio mai celato delle stesse nazioni che bombardano l’Isis ai gruppi ribelli che poi sul campo fiancheggiano lo stesso Stato Islamico, ci appare un tentativo di destabilizzazione colossale. Una ingigantita false flag in salsa palestinese che stranamente è rimbalzata subito in Europa tramite gli organi di stampa dell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra. Siamo alle solite, quindi: i maggiori media occidentali tentano di gettare la cenere negli occhi dell’opinione pubblica che, in un momento di allarmismi e confusione come quello che stiamo vivendo, si potrebbe lasciare facilmente irretire nelle trame di quei paesi la cui politica estera è quella di lanciare il sasso e nascondere la mano. Siamo di fronte ad una notizia che altro non potrebbe fare se non demoralizzare il popolo siriano e dare adito a false voci di sconfitta.
Nonostante ciò, ad oggi, Damasco e i suoi alleati continuano a tenere in piedi un fronte immenso attaccato da terra dalle milizie islamiste foraggiate dai paesi del golfo e minacciato dal cielo dai “bombardieri della libertà” sempre troppo cauti a colpire il Califfato e sempre pronti a condannare il feroce Rais colpevole di volere a tutti i costi una nazione sovrana in un mondo di fast food.
Alberto Palladino