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Libia: firmato il protocollo di intesa nazionale, ma sarà davvero la svolta?

by Paolo Mauri
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Libia accordo unitàShkirat, 18 dic – Nella giornata di ieri in Marocco i rappresentanti delle 3 regioni della Libia (Cirenaica, Tripolitania e Fezzan) insieme agli esponenti delle varie tribù in cui è frammentato il tessuto sociale libico hanno firmato un accordo di intesa per la formazione di un governo di unità nazionale.

Sotto l’egida della Nazioni Unite, presenti col mediatore Martin Kobler, e alla presenza di 17 paesi tra cui l’Italia, il Qatar, la Tunisia e la Turchia, sì è giunti a quello che sembra il primo passo verso la stabilizzazione della regione, da sempre strategicamente importante per la nostra Nazione.

L’accordo sembra restare viziato dalle antiche rivalità tribali: i portavoce dei due parlamenti, quello di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello di Tripoli, considerato illegittimo, hanno cercato di ostacolare il processo ed allo stesso modo hanno agito i rappresentanti del Fezzan che si sono dimostrati contrari alla nomina del vicepremier proposta dai mediatori. Invece si è giunti alla storica firma sebbene i capi dei due parlamenti continuino a respingere l’intesa nonostante i paesi mediatori siano ottimisti sulla scelta dei tre rappresentanti delle regioni e del futuro Presidente, Faiz al Siraj.

Entusiaste le reazioni delle autorità italiane, dal Presidente Mattarella sino al ministro degli Esteri Gentiloni, presente in Marocco, che su Twitter dichiara essere “Un primo passo pieno di speranza”.
Le negoziazioni sul governo di intesa nazionale sono state portate avanti per un anno circa, fortemente volute anche dagli Stati Uniti, in considerazione del crescente pericolo rappresentato dalla presenza dello Stato Islamico nella regione, che si è dimostrato essere la fazione più forte nel conflitto interno libico scatenato dal vuoto di potere venutosi a creare dopo la caduta di Gheddafi quattro anni orsono.

Caduta fortemente voluta e messa in atto, lo ricordiamo, sia dagli stessi Stati Uniti che dalla Francia e dalla Gran Bretagna, con l’Italia a fare da spettatrice nemmeno tanto defilata. Alcuni analisti occidentali, come riporta il New York Times, sono però pessimisti in merito al piano di intesa: la pressione dell’Occidente sulle parti in causa avrebbe infatti creato un accordo non abbastanza forte e chiuso troppo in fretta tralasciando importanti nodi che potrebbero ripresentarsi in futuro creando una nuova rottura, come ad esempio in che modo regolamentare le varie milizie che in questo momento sono in azione in Libia. In un recente rapporto l’International Crisis Group ha sottolineato come “Il garantire riconoscimento a un governo che non ha sufficiente consenso lo condannerà all’irrilevanza”.

Nel frattempo il Governo inglese fa sapere che truppe britanniche potranno essere inviate in Libia per aiutare l’addestramento di forze locali se il nuovo governo lo richiederà. Il portavoce di Downing Street riferisce che il Governo ha chiarito che supporterà la nuova amministrazione libica, ma che se saranno inviate truppe, queste non avranno alcun ruolo di combattimento. Il Segretario degli Esteri inglese ha inoltre aggiunto che i governi occidentali e del Golfo saranno “dietro le quinte” della nuova amministrazione libica per aiutarla a combattere lo Stato Islamico.

Queste dichiarazioni lasciano comunque supporre che nel breve periodo sarà previsto un intervento armato in Libia da parte di una nuova coalizione, forse più ampia di quella che si sta delineando in Siria dove gli stati del Golfo premono per la nascita di uno stato sunnita, che finalmente potrà essere giustificato dalla nascita di questa nuova entità governativa libica. Del resto negli ultimi mesi si è da più parti invocato un intervento sotto l’egida delle Nazioni Unite, intervento che non poteva essere messo in atto data l’assenza di una autorità di riferimento univoca nella regione. Il “deus ex machina” potrebbe invece essere rappresentato dalla Russia, che ha fatto sapere tramite il ministro degli Esteri Lavrov, la propria disponibilità ad affiancare l’Italia e l’Occidente in un possibile intervento armato.

Alcuni aspetti appaiono comunque chiari: il primo è che il nuovo governo libico rischia di essere un governo fantoccio la cui unica finalità è quella di certificare l’intervento armato, il secondo è che la situazione di instabilità libica diventerà terreno di giochi di interesse geopolitico tra le nuove potenze d’area, come la Turchia e l’Egitto, e le vecchie potenze di sempre, Stati Uniti, Russia, Francia ed Inghilterra che per diversi motivi, sia economici che meramente di prestigio, non perderanno occasione di diventare protagoniste nella risoluzione della crisi libica. L’Italia rischia di avere pertanto un ruolo secondario, così come lo aveva avuto 4 anni fa in occasione dell’abbattimento di Gheddafi, se non saprà gestire con oculatezza il complicato sistema di alleanze tra gli “amici” della Russia e quelli degli Stati Uniti e se non riuscirà a recuperare il terreno perso in questi 4 anni di “vacanza” della propria intelligence in un territorio che storicamente ed economicamente è sempre stato legato ai nostri interessi nazionali. Una prima soluzione sarebbe quella di recuperare la cosiddetta “humint” in loco, con uomini sul campo che stringono alleanze e possono fornire un quadro esaustivo della situazione, se non vogliamo ancora una volta essere messi da parte dai nostri “alleati” ed accontentarci di fare da spettatori.

Paolo Mauri

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