Roma, 12 lug – E’ tempo di aggiornare i bilanci della politica estera europea. Dopo la conclusione della sesta esercitazione Nato tenutasi in Polonia, una delle più grandi, a metà dello scorso giugno (Anakonda 2016) e soprattutto dopo il vertice di Varsavia che ha visto la presenza di tutti i delegati delle nazioni facenti parte l’Alleanza Atlantica a cui si è aggiunto provvisoriamente il Montenegro, è bene fare delle valutazioni su quanto sta succedendo nell’Europa dell’est.
Anakonda 2o16 ha visto la presenza di 24 nazioni che hanno fornito circa 31mila uomini. Scopo dell’esercitazione, come si legge sul sito delle Forze Armate US in Europa è stato quello di testare la capacità di dispiegare, ammassare e sostenere le forze di combattimento della Nato ed in particolare, come ha riportato il Ministro della Difesa polacco Macierewicz “Verificare la disponibilità dei partecipanti a rispondere a tutta la gamma di minacce individuate nei conflitti attualmente attivi, tra cui la risposta alle minacce ibride. In particolare, le unità dovranno implementare le attività sul comando tattico e l’integrazione dei comandi, la gestione del supporto di artiglieria, l’evacuazione medica, la gestione delle conseguenze dell’uso di armi di distruzione di massa, il movimento di truppe su lunghe distanze”.
Parallelamente si sono tenute altre esercitazioni di pari o minore entità: nell’area dei paesi baltici, oltre alle manovre navali “Baltops” a cui ha partecipato anche l’Italia, il dispositivo Nato si è attivato anche con “Saber Strike”, una manovra per testare le capacità di dispiegamento delle forze di risposta rapida (rapid reaction forces). Sempre in Polonia, e poco dopo Anakonda, si è testata la capacità di Comando e Controllo dell’Alleanza con “Cwix 2016” (Coalition Warrior Interoperability Exercise) in cui il nostro Paese ha avuto una parte molto importante.
Sembra quindi che il fulcro dell’impegno Nato si sia spostato verso oriente, in quei Paesi che sono entrati da poco nell’Alleanza. Del resto quanto sta avvenendo risponde perfettamente ai dettami emersi dalla conferenza di Varsavia recentemente conclusasi: al punto 5 del comunicato rilasciato al termine dei lavori (svolti allo stesso tavolo che vide nascere il Patto di Varsavia) si legge “L’Alleanza affronta una gamma di sfide e minacce alla sua sicurezza che si originano sia da est che da sud; da attori che hanno la forma di Stati e non-Stati; da forze militari e da attacchi terroristici, cibernetici o ibridi. Le azioni aggressive della Russia, incluse le attività militari provocatorie svolte lungo la periferia dei territori Nato e la sua dimostrata volontà di ottenere obiettivi politici con l’uso della forza, sono una fonte di instabilità regionale, sfidano l’Alleanza nelle sue fondamenta, hanno danneggiato la sicurezza Euro-Atlantica e minacciano il nostro obiettivo di lungo termine per un’Europa libera ed in pace”.
Questo spostamento verso est degli interessi Nato e americani sembrerebbe quindi a prima vista rispondere al nuovo protagonismo russo sulla scena internazionale; un protagonismo vissuto come un pericolo più da quei Paesi dell’Alleanza che un tempo gravitavano nell’orbita di Mosca rispetto a quelli “occidentali”: Romania, Repubblica Ceca, Bulgaria ma soprattutto la Polonia, che spesso sembra scivolare in atteggiamenti che potrebbero definirsi russofobi. Nella realtà dei fatti questa rinnovata politica “aggressiva” russa è il risultato di un lungo processo di natura doppia: dovuto a cause interne ed esterne. A livello interno Putin vuole ristabilire la sfera di influenza di Mosca nell’area dell’Asia centrale, nel Caucaso e lungo i suoi confini con l’Europa essenzialmente per interessi economici e di stabilità politica: non è ammissibile per Mosca perdere il controllo delle repubbliche caucasiche, asiatiche o dell’Ucraina, in quanto provocherebbero un “effetto domino” pericoloso per la stessa unità della nazione, paura temuta a tal punto da aver spinto la Russia all’intervento in Siria, oltre alle ben note questioni energetiche. La causa esterna è ascrivibile, principalmente, all’installazione dello “Scudo Antimissile” americano in alcuni ex Paesi del Patto di Varsavia (Polonia, Repubblica Ceca e Romania col sistema Aegis), già ampiamente trattata e discussa su queste colonne.
Queste continue prove di forza della Nato ai confini della Russia e dei Paesi sotto la sua influenza, sono a tutti gli effetti una provocazione che andrebbe evitata in un contensto strategico globale dove l’Occidente dovrebbe guardare a Mosca come ad un alleato invece che come ad un avversario. La stessa Europa, sia in seno alla Nato che all’Ue, sembra divisa nei confronti di questa politica come abbiamo accennato prima: alcuni paesi ritengono ancora la Russia, nonostante le sanzioni, un partner privilegiato economico e, possibilmente in futuro, militare. Del resto la cooperazione tra Nato e Russia c’è già stata in passato (pensiamo ad esempio alle operazioni antipirateria nel Corno d’Africa) e pertanto occorre riprendere quella strada, almeno per quanto riguarda la nostra debole e fragile Europa. Una Europa che se si liberasse dai legami imposti da oltre Atlantico (ed in questo senso plaudiamo il Brexit vista la ben nota tradizione filo-statunitense inglese) per avvicinarsi a quello che storicamente è sempre stato il suo naturale centro di gravità, l’oriente, sarebbe capace di diventare la potenza egemone dell’Asia, e quindi del globo.
Paolo Mauri
1 commento
La Russia va provocata, impoverita, destabilizzata fino a farla crollare, perchè ha osato opporsi all’americanizzazione-mondializzazione dell’intero pianeta. E dopo di lei, la Cina. Questi sono i pensieri che dominano nei “think tank” di Washington e Chicago, come l’Atlantic Council, nonchè a Wall Street e a Bruxelles. e TUTTI i media mainstream sono concordi con questo piano. Un vero schifo direi…