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Fuori dal labirinto degli specchi: come non essere occidentali

by Adriano Scianca
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labirinto occidente

Roma, 25 dic – La guerra in Ucraina ha riportato d’attualità una categoria politica e geopolitica che sembrava confinata nel gergo degli anni Settanta: quella di Occidente. Se, da una parte, la stampa mainstream ha chiamato a raccolta dietro il vessillo dei «valori dell’Occidente», dall’altro i settori radicali hanno lanciato speculari richiami della foresta contro di esso. Nell’uno e nell’altro campo, non sono mancate polemiche da parte degli esponenti più zelanti contro chi è sembrato non aderire abbastanza prontamente ed entusiasticamente all’una o all’altra causa.

Che cos’è l’Occidente

Ma cosa si intende, innanzitutto, per Occidente? Senza rifare l’intera storia del concetto, e parlandone in modo avalutativo, possiamo osservare che, nel linguaggio odierno, Occidente sta a indicare quella sfera caratterizzata da:

a) Un ordine geopolitico egemonico a guida americana.

b) Una ben precisa genealogia, che passa dal giudeocristianesimo alla Riforma, fino all’Illuminismo e all’antifascismo. In questa filiazione vengono talvolta inseriti riferimenti al mondo classico, ma in modo abbastanza problematico e solo nella misura in cui questi possono essere letti come «anticipazioni» dei momenti successivi: affermazione della «ragione», «nascita della democrazia» etc.

c) Un insieme di valori, che sono poi sostanzialmente i valori del liberalismo classico: libertà d’impresa, libertà politiche, libertà civili, diritti umani, democrazia etc.

d) Un certo tenore di vita, stile di vita e immaginario.

Ora, tutto questo delinea un «essere» o un «dover essere»? Un dato di fatto o un programma da attuare? In realtà entrambe le cose. Sarebbe sciocco fingere di non vedere che chiunque di noi, quali che siano le sue opinioni sull’Occidente, è già dentro una rete di relazioni, immaginari, memorie, linguaggi, simboli, narrazioni, rapporti di potere condizionata dal fatto di vivere in Paesi che sono classificati come occidentali. Anche il più indefesso nemico dell’America tra noi ha visto più film americani che cinesi. Ma l’Occidente non è solo una descrizione, è anche una prescrizione.

Cosa si frappone tra l’essere e il dover essere? Perché non siamo ancora del tutto occidentalizzati?

Le differenze e chi vuole annullarle

Intanto perché ci sono tuttora una serie di caratteristiche della società americana che risultano incomprensibili a un europeo. Poter comprare un fucile da guerra online, accendere la tv e vedere un telepredicatore religioso che inneggia al creazionismo, spendere 17.000 euro per un’appendicectomia, avere una fetta consistente della popolazione che non saprebbe indicare il Giappone su una cartina geografica – sono tutti aspetti della vita pubblica statunitense tuttora indecifrabili per un italiano, uno spagnolo, un ungherese o un lituano.

Giova tuttavia ricordare che, proprio su questo tipo di argomenti, è la destra a impegnarsi per colmare il gap e per portare avanti una maggiore americanizzazione sociale dei nostri Paesi. E non parliamo solo della destra liberale. Spesso, paradossalmente, sono proprio i settori più radicali o radicalizzati, magari attestati su posizioni «anti-americane», a chiedere una legislazione più libertaria sulle armi da fuoco o a pendere dalle labbra dei vari monsignor Viganò, trasformati in punti di riferimento politico.

Un ulteriore elemento di complicazione è dovuto al fatto che l’appiattimento sulle posizioni di politica estera dettate da Washington è tutt’altro che unanime e uniforme anche all’interno dell’Occidente stesso. Certo, si tratta di frizioni interne a uno stesso paradigma, per di più animate fra soggetti che hanno poteri e posizioni gerarchiche diseguali in esso. Ma questo non basta a definire queste divergenze come delle mere finzioni. Il compito di ogni buon europeo, dovrebbe essere quello di inserirsi in queste contraddizioni. Anche in questo caso, tuttavia, è stata per lo più la destra – anche quella radicale – ad aver teorizzato e incarnato in questi anni il ruolo di «cuneo americano» contro le pur timide e contraddittorie velleità di emancipazione dell’Europa.

Ecco quindi almeno due temi in cui molti «anti occidentalisti» sembrano essersi impegnati per avvicinare, anziché allontanare le due sponde dell’Atlantico.

Errori dell’odierno anti occidentalismo

Il punto cruciale, tuttavia, è un altro ancora. Ed è che non basta dirsi anti occidentalisti. Bisogna vedere in che senso lo si è, in che direzione, in nome di cosa, come «gira» questo dispositivo concettuale, quali appartenenze evoca, verso dove ci porta. L’anti occidentalismo che va per la maggiore in una certa destra radicale, in particolar modo, sconta cinque errori fondamentali. Esso è infatti anti occidentale per reazione, sottrazione, confusione, ossessione o alienazione. Vediamoli nel dettaglio.

Anti occidentalisti per reazione: sono quelli che sono contro l’Occidente in modo primario, cioè che definiscono se stessi in modo negativo. Essi hanno senso solo pensandosi come il contrario dell’Occidente. Se l’Occidente non esistesse, non avrebbero niente da dire. Nietzscheanemente, questa posizione è reattiva, non attiva. Ovviamente, come ogni negazione, essa finisce per restare imprigionata nella dialettica di ciò che nega, diventandone il doppio speculare. Se si è prima di tutto europei, l’anti occidentalismo è una posizione derivata, che ruota attorno a un centro ben preciso. Se si è prima di tutto anti occidentali, si potrà tranquillamente finire con l’essere anti europei, se l’odio per l’Occidente lo richiede.

Anti occidentalisti per sottrazione: Alain de Benoist dice di non essersi mai messo un paio di jeans. Ora, chi impone a se stesso una disciplina per ragioni identitarie merita sempre un plauso, ma la cosa – rapportata all’oggi – implica che la nostra identità occidentale sia un orpello superficiale che si può dismettere, quel che c’è sotto sarà la nostra identità europea. Non è così. Se eliminiamo i jeans, non abbiamo una djellaba o un kimono da «tornare» a indossare per «essere noi stessi». Fuor di metafora: l’Occidente è figlio dell’Europa, discende dall’Europa e per molti aspetti si fonde con essa. Separare l’europeità dall’occidentalità è imperativo, ma si tratta di un compito, di un percorso fondativo. Il nostro essere europei va ricreato. Heidegger e Locchi hanno scritto pagine profondissime sul punto. Certo, si dirà che è una problematica intellettualistica. La cosa, però, ha delle ricadute concrete. Chi crede che si possa essere anti occidentali per sottrazione, semplicemente eliminando Coca Cola e sneakers, finisce con l’aderire a un modello che è ugualmente occidentale, solo un po’ più arretrato, un po’ più sfigato. Proprio perché non c’è un modello bello e pronto da usare, si userà il modello dominante, ma nella versione non aggiornata. O nella sua brutta copia, tipo la Mecca Cola che spuntò fuori qualche anno fa nei Paesi arabi.

Anti occidentalisti per alienazione: da tutto questo discende la tendenza a identificarsi con qualsiasi causa esotica che sia anti occidentale. O che appaia come tale. Se quel che ci definisce è il fatto di essere anti occidentali, e se il popolo X viene abitualmente qualificato come anti occidentale, allora noi siamo X, ci identifichiamo con le sue battaglie, i suoi valori, le sue parole d’ordine, con buona pace dei concetti di prossimità etnica e culturale. E con buona pace anche di qualsiasi logica della complessità, alla luce della quale si potrebbe dimostrare che non tutto ciò che brilla di luce anti occidentale è realmente eversivo dell’attuale ordine internazionale.

Anti occidentalisti per confusione: sono coloro che sotto l’ombrello dell’Occidente mettono la modernità, la tecnica, la scienza, ma anche qualsiasi modello sociale che garantisca un minimo di benessere sociale diffuso e qualsiasi forma di libertà politica e civile. L’Occidente è quindi un magma confusionario in cui tutto si confonde. Ne consegue che, in questa visione, anti occidentalismo, anti modernità, luddismo, bigottismo, spirito reazionario etc sono tutti sinonimi. E siccome molte di queste cose sono tipicamente europee, molto più che occidentali, di nuovo l’anti occidentalismo è un cavallo di Troia per introdurre posizioni sostanzialmente anti europee. Questa catena di falsi rimandi va invece spezzata.

Anti occidentalisti per ossessione: nella misura in cui ci identifichiamo con l’anti occidentalismo degli altri, mutuiamo anche le loro categorie, che spesso sono ispirate a fondamentalismi manichei, moralistici e apocalittici. L’Occidente diventa quindi il «Grande Satana». Un Satana peraltro ubiquitario, che si cela dietro ogni attività anche banale, per cui – come in una grottesca deriva gnostica – bisogna restare vigili affinché il male onnipresente non ci contagi.

L’occidentalismo speculare e come superarlo

Poiché le disgrazie non vengono mai da sole, accade inoltre negli ultimi tempi – in Italia poco, in verità, molto più in Francia – che la polarizzazione dialettica generi per reazione un neo occidentalismo «identitario» di ritorno, che fa proprio lo schema ideologico appena illustrato (da una parte l’Occidente, la tecnica, la modernità, la libertà, dall’altra il bigottismo, la reazione, l’autoritarismo triviale etc) ma vi si colloca agli antipodi degli anti occidentalisti. Insomma, è l’idea che se l’alternativa all’Occidente è la polizia morale iraniana o gli oligarchi russi, tutto sommato i valori occidentali non siano così male. Una posizione, questa, doppiamente sbagliata, perché doppiamente derivativa: essa, infatti, fa propria, ribaltata di senso, la visione degli anti occidentalisti triviali, che a sua volta facevano propria, ribaltandola di senso, la retorica degli occidentalisti liberali. Un rompicapo, un labirinto, un gioco di specchi, opposte retoriche che inseguono l’una l’eco dell’altra.

Ma dalla logica binaria e dal gioco delle parti si esce solo evocando la logica del terzo incluso. Né occidentalismo «identitario», né anti occidentalismo triviale, ma Europa potenza. Curiosamente, questo schema è stato un’ovvietà unanimemente condivisa nel mondo non conformista per tutto il periodo in cui non aveva alcuna possibilità di tradursi in realtà a causa della logica dei blocchi contrapposti, mentre è stato liquidato come un relitto del passato ideologico e sorpassato nel momento in cui ha cominciato ad avere qualche possibilità di influenzare il reale. Ad ogni modo, è solo essendo «buoni europei» che possiamo evitare le trappole dialettiche e politiche del nemico, l’alienazione spirituale che porta a identificarsi in un altro da sé. La posizione europea è peraltro la sola che possa dare un senso alle formule propagandistiche oggi in voga, come quella del «multipolarismo», che non ha per noi alcun senso né alcuna attrattiva senza la creazione di un polo europeo.

Nelle sue riflessioni sulla grecità aurorale, Martin Heidegger distingueva fra due concetti di Occidente: Occident e Abend-Land. Il primo è l’Occidente che conosciamo, quello di marca platonico-cristiana, illuminista e americana, il modello che oggi definiremmo «globalista», sradicato e sradicante. Il secondo è qualcosa di completamente diverso, è in diretto collegamento con l’origine greca, ma allo stesso tempo ne rappresenta il superamento, è qualcosa che è davanti a noi, come un compito. In francese, la distinzione tra i due termini è stata resa traducendo un po’ creativamente, ma non abusivamente, il secondo termine con Esperia. Un concetto che è stato fatto proprio da Guillaume Faye, che scriveva: «L’esperiale è sia una ripartenza, un ritorno profondo all’alba, cioè alla concezione greca del mondo, sia una rottura con l’Occidente, che ha dimenticato la Grecia. Tornare a Esperia, per noi europei, consisterebbe allora nel realizzare la nostra volontà di potenza come europei, coscienti della nostra filiazione greca, e non più come occidentali che hanno dimenticato questa filiazione. L’esperiale è l’europeo che riprende coscienza di essere greco, e che quindi rifiuta l’Occidente come non greco, finisce per dimenticare se stesso, colui che avrà “meditato sul disordine del destino attuale del mondo” e che vorrà consapevolmente realizzare la visione del mondo greco».

Giorgio Locchi lo ha spiegato bene: il «male americano» che dà il titolo a un suo famoso libro non significa che l’America sia «il male» metafisico, nel senso del Grande Satana. Non significa neanche, ovviamente, che sia l’America a essere malata. È semmai l’Europa a essere ammalata, di un male che essa stessa ha generato e da cui essa stessa deve uscire, attraversando le tenebre del proprio oblio per rivedere il nuovo sole.

Concretamente, tutto questo implica innanzitutto una predisposizione mentale e spirituale. Di fronte a ogni crisi, il nostro dovere è innanzitutto quello di sforzarci per gettare uno «sguardo europeo» sul problema, rifiutando sia un falso «buon senso» – che è il riflesso del senso dominante – sia la contrapposizione binaria pura e semplice, ovvero il contrario speculare del senso dominante. Serve quindi uno sforzo supplementare, la creazione, sul «mercato delle idee», di un articolo non ancora in vendita, la formulazione di una posizione originale che acquista realtà per il solo fatto che la formuliamo. La capacità di imporsi nel reale di questo «sguardo europeo» dipenderà poi dalla capacità dei soggetti che se ne faranno carico. Tutto questo, in ogni caso, non è più «irrealistico» o «utopistico» di qualsiasi aspettativa salvifica nei confronti di qualsiasi soggetto esotico. Il «mito europeo» ha anzi grandissime potenzialità mobilitanti, qualora ci fosse qualcuno capace di incarnarlo. È, in ogni caso, la nostra buona battaglia. La nostra: e tanto basta.

Adriano Scianca

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