Non si tratta di un cambio di rotta repentino da parte dell’Italia ma di un piano di guerra al vaglio da mesi e che potrebbe vedere la luce adesso, all’indomani dalla designazione del nuovo premier libico Fayez al Sarraj, che ha annunciato la nomina di 32 ministri e 4 vicepremier, numeri apparentemente esagerati ma che nell’intenzione del governo sono indispensabili per assicurare rappresentanze alle tre principali macroregioni libiche: Cirenaica, Tripolitania e Fezzan. Il dato di fatto è che in realtà il tanto auspicato governo di unità nazionale è ancora soltanto sulla carta, visto che il governo insediato a Tobruk tergiversa sul riconoscimento del nuovo premier e numerosi gruppi armati libici continuano ad opporvisi.
Allo stesso tempo nelle ultime settimane si sono intensificati gli attacchi dei jihadisti agli impianti dell’Eni, che da campanello di allarme per l’Italia sono ormai divenuti una minaccia decisamente seria visto inoltre che lo Stato islamico è sempre più radicato a Sirte ed ha esteso la sua influenza in altre località della costa libica. Salvo svolte riguardo accordi governativi e rapide riconquiste territoriali da parte dell’esercito libico di Tripoli, al momento assai improbabili considerate le divisioni interne e la sempre più complicata situazione sul campo, la guerra ad oggi appare imminente. Con l’Italia, spronata dagli “alleati”, in prima linea.
Eugenio Palazzini