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Più piccolo dei giganti, più grande dei nani. Chirac in controluce

by La Redazione
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Roma, 27 set – Lo Chirac che non dimenticheremo è quello in visita ufficiale a Gerusalemme che viene letteralmente alle mani con gli agenti israeliani che vogliono impedirgli d’incontrare i palestinesi. Chapeau! Come si dice in Francia. D’altronde in Palestina una strada intitolata a Jacques Chirac esiste da anni. Fu amico di Arafat e il leader palestinese andò a morire a Parigi ospite dell’Eliseo.

In linea con de Gaulle sulla politica estera

In linea con de Gaulle, ma sostanzialmente con tutto l’Esagono prima di Sarkozy, Chirac il meglio di sé lo diede nella politica estera. Durante l’aggressione a Saddam sostenne il legittimo governo iracheno e gli interessi francesi che, come i nostri, vi erano collegati. Ma, a differenza loro, noi non perseguimmo i nostri interessi e fummo servili. Chirac però andò oltre: insieme a Schroeder e a Putin istituì un asse Parigi-Berlino-Mosca che sarebbe venuto meno con l’avvento di Sarkozy.

Durante il suo primo settennato subì una violenta offensiva britannica che voleva rintuzzare le attenzioni francesi sul Pacifico. Si tradusse in una serie di attentati islamisti coordinati da Manchester. Era il tempo dei test nucleari francesi che gli angloamericani volevano interrompere. Oltre alle bombe ci fu il boicottaggio internazionale del Beaujolais nouveau come sanzione economica. Io che non amo quel vino, in quella stagione ne bevvi in discreta quantità. Nel conflitto tra la Francia di Chirac e gli angloamericani ebbe un ruolo anche il fatto che Parigi sosteneva il governo laico algerino mentre Washington e Londra sospingevano gli islamisti.

Peggio di Mitterand nella politica interna

L’altra faccia della medaglia è la politica interna. Qui Chirac, come tutta la destra gollista, lasciò molto a desiderare sia sul piano sociale che su quello valoriale. Fin da quando fu sindaco di Parigi il processo d’involuzione e di disgregazione della Francia fu tangibile e divenne inarrestabile. Nulla di concreto fu da lui tentato per lenirne almeno gli effetti o per rettificare la tendenza. In questo Mitterrand gli fu immensamente superiore. Sia nel restituire dignità a Pétain e ai putschisti di Algeri (ma va ricordato che Chirac, che aveva combattuto in Algeria, definì quel periodo “il più appassionante della mia vita”), sia nell’imporre una quota rilevante di produzione francese nei media, compresi i canali privati. Chirac s’iscrisse invece nella tradizione della destra gollista, tutta ostentazione e banalità.

Colui che le sinistre definivano fascista finì con lo scegliersi come avversaria l’estrema destra. Fu il più ostile concorrente di Le Pen e giunse perfino a dirsi favorevole all’incriminazione storica del governo di Vichy nell’Olocausto. Alcune male lingue sostennero che lo fece per assicurare la stabilità del franco, dato che riteneva che la Germania avesse potuto ripartire così bene nel dopoguerra proprio perché doveva pagare i risarcimenti a Israele in marchi. Odio dell’estrema destra o fastidio verso chi rischiava di fargli saltare il quorum? Negli ultimi anni, secondo alcuni a lui prossimi, ebbe comunque modo di rivedere il suo giudizio sui capi dell’Asse. Arduo stilare un bilancio delle due presidenze di Chirac: troppo piccolo se si guarda prima di lui, troppo grande se si guarda dopo. Basti pensare che dei suoi successori quello che ha la statura maggiore è Macron, ed è tutto dire.

Possiamo però affermare che è stato l’ultimo presidente francese visto che, dopo di lui, la virata verso gli Usa è stata brusca e si è lasciata indietro tutta la tradizione politica della V Repubblica. Piuttosto che osannarlo o abbatterlo, riprendiamo le parole di Jean-Marie Le Pen, grande signore: “Morto, anche il nemico è degno di rispetto”.

Gabriele Adinolfi

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