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Qual è la (vera) posizione di Donald Trump su Israele?

by Adriano Scianca
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TrumpRoma, 15 nov – Quale sarà la posizione di Donald Trump su Israele? “È un amico sincero del nostro Stato”, si è affrettato a commentare Benjamin Netanyahu subito dopo l’elezione del tycoon. “È finita l’era dello Stato palestinese”, ha festeggiato Naftali Bennett, ministro dell’Educazione. Egli stesso si è sempre definito come il più grande amico di Israele presente sulla scena americana. Uno degli uomini che più ha influenza sul presidente Trump è suo genero, Jared Kushner, ebreo, filo-sionista e, secondo molti, ispiratore della sua linea su Israele e Medio Oriente. Una delle promesse fatte al Congresso dell’Aipac – la più grande lobby ebraica americana – è stata quella di spostare, una volta diventato presidente, l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo formalmente quest’ultima come Capitale d’Israele. Cosa che innalzerebbe di molto la tensione nell’area.

Ma in questa immagine idilliaca, più di una crepa fa capolino. Diverse associazioni ebraiche – l’Anti Defamation League, per esempio – hanno duramente protestato contro l’annunciato incarico di “chief strategist” e primo consigliere a Steve Bannon, il fondatore del sito ultra conservatore Breitbart News. E, cosa significativa, Trump ha difeso la sua scelta: “Chi critica Steve Bannon – ha detto la portavoce del tycoon, Kellyanne Conway, che ha lavorato fianco a fianco con Bannon – dovrebbe andare a guardare il suo curriculum. È uno stratega brillante, e con Reince Priebus sta facendo sacrifici enormi per servire il presidente”.

Subito dopo i risultati delle presidenziali americane, Ha’aretz ha lanciato una dura campagna contro di lui: Samuel G. Freedman ha definito Trump una “figura hitleriana” e ha parlato apertamente di “una nazione che sta per essere governata da un fascista virtuale, che abbraccia l’odio verso musulmani, ispanici, donne, gay, e, sì, gli ebrei”. Bradley Burston, dal canto suo, ha scritto che si tratta della “più grande vittoria per l’antisemitismo in America dal 1941”. Chemi Shalev, sullo stesso giornale,ha tuonato: “Grazie a lui possiamo capire meglio come Hitler fu possibile”. Il sito del quotidiano israeliano ha anche rilanciato in questi giorni un pezzo dello scorso febbraio dal titolo: “Sei motivi per cui Trump sarebbe un disastro per gli ebrei degli Stati Uniti, Israele e il Medio Oriente”. Vi si citavano l’ignoranza del magnate sulle realtà politiche dell’area, il suo utilizzo di “stereotipi ebraici piuttosto insultanti” e la mancanza di una vera tensione ideale nei confronti della sorte del potente alleato: “Il destino di Israele riguardo alla sua dipendenza militare e strategica sul Stati Uniti sarebbe soggetto a una sorta di opportunismo irregolare sulla base dei capricci di Donald Trump”.

Del resto l’ebraismo americano ha scelto in larga parte la Clinton, mentre in molti si ricordano di un tweet di Trump in cui l’avversaria veniva definita «la più corrotta candidata di sempre», con questa frase contenuta all’interno di una stella di Davide circondata da biglietti da 100 dollari. Giova anche ricordare che fra gli entusiasti per l’elezione di Trump figura anche David Duke, anima storica della destra anti-sionista israeliana. Durante la campagna elettorale, tra un elogio di Israele e l’altro, Trump si è lasciato andare ad affermazioni controverse. “Nessuno è più pro-israeliano di me”, ha detto, ma a dicembre il miliardario aveva messo in dubbio pubblicamente la buona volontà di Israele di trovare una soluzione al conflitto con i palestinesi : “Con Israele resta molto da fare. Israele vuole un accordo, sì o no? Israele è pronto a sacrificare alcune cose, sì o no?” A febbraio, aveva dichiarato “Su Israele, lasciatemi essere neutro”. E aveva aggiunto: “Se diventerò presidente, una delle mie priorità assolute sarà la protezione di Israele ma anche cercare di arrivare a un accordo”. Su di lui si erano avventati gli altri candidati repubblicani: “Se sarò presidente, non sarò neutrale sul conflitto in Medio Oriente”, aveva detto Ted Cruz. E Marco Rubio: “Non so se Donald Trump si rende conto che la sua politica è anti-israeliana”.

Del resto non è chiaro quanto, in un personaggio come Trump, le dichiarazioni siano indicative di una linea politica ben precisa: essendo un personaggio abituato alla sparata, alla boutade, nei suoi discorsi si può trovare tutto e il contrario di tutto. Da vedere anche il peso che sulla nuova amministrazione avranno consiglieri come il controverso Michael Ledeen, dato spesso come vicino alla Cia, ma divenuto inviso a Washington perché troppo amico di Israele. Cosa che, in America, costituisce un vero record.

Adriano Scianca

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2 comments

Pietro Frignani 15 Novembre 2016 - 11:18

Leggendo l’articolo si capisce che,la politica di Tramp su Israele rimane non è chiara molto altalenante,il tempo dirà la verità!

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rino 16 Novembre 2016 - 1:12

Tutto questo culto per la più grande creatura malefica che la mente umana abbia partorito (uno stato per soli ebrei, capostipite e modello del famigerato stato per soli musulmani denominato isis), Israele, non può che confermare la radice religiosa e in ispecie avventista e messianica che foraggia tale ardente desiderio verso la terra promessa..
La fantomatica democrazia con le sue millantate pretese circa l’uguaglianza degli individui si lascia distruggere ed annientare di fronte all’eccezzionalismo del popolo eletto. Un giorno quando questa ebrezza cesserà verranno ricordati questi tempi come i secoli dei nostalgici del paradiso terrestre, ovvero il tempo in cui gli uomini hanno creduto di tornare alla felicità rientrando da dove erano stati espulsi.
Una tale abnegazione può infatti essere sostenuta solamente da un fortissimo afflato religioso.

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